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Ancora irrisolto l’enigma dell’altare rupestre di Santo Stefano
1 Luglio 2023

Ancora irrisolto l’enigma dell’altare rupestre di Santo Stefano


“Non esistono misteri, esistono solo dubbi”. Giacomo Calvia archeologo e botanico di Berchidda, conoscitore attento e curioso della storia sarda ed esperto dei siti archeologici della sua zona, quando parla dell’altare rupestre di Santo Stefano a Oschiri, non ha dubbi - ma ne ha anche tantissimi - sul fatto che non sia un mistero. Le iscrizioni scolpite su questa parete rocciosa che si erge di fronte a una chiesa campestre consacrata al santo secondo martire dopo Gesù, trasudano fascino e il loro non essere mai state decifrate o datate nel tempo le ha rese delle pietre custodi di dubbi, incertezze, fraintendimenti e storie fantastiche tramandate di padre in figlio da generazioni di abitanti di Oschiri, piccolo centro al confine tra la Gallura e il Logudoro, in cui l’altare con le sue forme geometriche è da sempre considerato un enigma. Su questo enigma Calvia ci ha sbattuto la testa per anni e dal suo studiare, ricercare e confrontarsi è venuto fuori un volume “Oschiri, Santo Stefano pietre custodi di dubbi”. Ne parla conoscendone ogni angolo a memoria, potrebbe tracciarne la mappa a occhi chiusi, dell’altare, della chiesetta umile che gli sta davanti e del complesso delle sei domus de janas che sono disseminate nei suoi dintorni. Saccheggiate negli anni da tombaroli e visitatori poco amanti della storia, le “case delle fate” aggiungono dubbi su questo altare roccioso, unicum nella storia dei ritrovamenti in Sardegna, mai soggetto a scavi archeologici, ammirato, quasi venerato senza che nessun esperto riuscisse a decifrarne il significato.



C’è chi gli attribuisce la funzione di altare per riti sacrificali in epoca pre cristiana, un luogo di culto del paganesimo in cui si consumavano offerte alle divinità. Chi lo identifica come luogo propiziatorio per la fertilità, per la presenza tra le sue incisioni di un simbolo dal richiamo fallico e chi come l’archeologo Giacomo Calvia di ipotesi ne ha almeno tre, ma vorrebbe solo togliersi i dubbi e far partire, una volta per tutte, uno scavo che ne sveli gli arcani.



«Si può supporre che avesse dei legami con culti anche pre-nuragici e che subì poi l’influenza cristiana, viste le croci che sono presenti - spiega Calvia -. La sua perfetta esposizione ad est, la presenza di una meridiana di cerchi scolpiti a destra dell’altare e un richiamo fallico lo lega alla fertilità e fa pensare anche che fosse interessato a riti legati a culti di passaggio, collegati a quelli del solstizio d’inverno. A questo si aggiunge il fatto che Santo Stefano è il santo che si venera il giorno dopo Natale. Magari è una coincidenza, però chissà». Chissà; i dubbi sull’altare di Santo Stefano restano lì, solidi come la pietra che lo compone.



Antonella Brianda


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