Bruce Springsteen, dagli stadi a un piccolo teatro di Broadway
Bruce Springsteen compie settant’anni. Parlare di Bruce significa raccontare una storia comune e all’interno di essa una miriade di storie individuali, ritrovando in ogni canzone ansie, paure, gioie, dolori, speranze. Del resto, lo stesso Springsteen ha più volte confidato: “Ho scritto le mie canzoni da solo, con un registratore a cassetta, la chitarra acustica e il mio quaderno, entrando nella vita delle persone. Era un mistero per me come la gente potesse riuscire a farsi avanti nella vita. Tutte le canzoni parlano di questo”.
Il cantautore americano si è recentemente reso protagonista di un esperimento destinato a settare un nuovo parametro nelle esibizioni live: passare dagli spazi oceanici a un piccolo teatro con meno di mille posti per creare il giusto feeling col suo pubblico e raccontarsi attraverso una scaletta studiata ad hoc.
L’idea di suonare in un posto piccolo, raccolto gli venne quando nel gennaio del 2017 Bruce Springsteen andò a esibirsi alla Casa Bianca come omaggio al Presidente uscente Barack Obama e al suo staff.
Inizialmente doveva trattarsi di otto settimane e fu subito individuato il Walter Kerr Theatre di Broadway dove il Boss debuttò prima ufficiosamente il 3 ottobre in una serata sperimentale con partenti ed amici e poi formalmente qualche giorno più tardi, il 12 ottobre, per un’esibizione ufficiale alla quale parteciparono tra gli altri tutti i membri della E-Street Band. Per uno abituato a far registrare sold out a ripetizione negli stadi di tutto il mondo anche solo pensare di scegliere di esibirsi in un teatro con una capienza di meno di mille posti a sedere fu evidentemente una scelta dettata dalla volontà di ricreare un’atmosfera più intima col suo pubblico, dove raccontarsi e confrontarsi con una realtà a misura sicuramente più umana che esibirsi di fronte a centinaia di migliaia di fan urlanti che da sempre riempiono le venue che ospitano i suoi live show.
Lo spettacolo peraltro fu concepito come una sorta di recital con una scaletta di 15 canzoni, quasi sempre le stesse ed un racconto decisamente autobiografico che Bruce proponeva ogni sera ricalcando il copione del libro Born To Run, bestseller librario che uscito nel 2016 ripercorreva la vita e la carriera del rocker del New Jersey.
Otto settimane dunque almeno nei piani iniziali. In realtà the show must go on e rimase in scena fino al 15 dicembre 2018 per un totale di 236 esibizioni con quasi 230mila biglietti venduti! Un successo stratosferico che nonostante tutte le precauzioni del caso ha determinato un furioso bagarinaggio con posti nelle prime file venduti a colpi di migliaia di dollari quando il prezzo ufficiale dei taglianti spaziava da un minimo di 75$ a un massimo di 750$.
Un esito ben al di là delle più rosee aspettative di Springsteen e del suo entourage che però corrisponde ad una necessità comune e condivisa: quella di un vero grande Artista e del suo pubblico di incontrarsi misurarsi, riscoprirsi in un contesto molto diverso da quello in cui si erano abituati a condividere la propria passione.
Sarebbe stato impossibile per il Boss creare un’atmosfera come quella magica del Kerr Theatre in un contesto diverso da quel piccolo teatro; al contrario in quel microcosmo sembrava aver trovato il suo habitat naturale per raccontare la storia della sua vita, le due radici, i problemi, lo spirito combattivo, il successo, le delusioni, le vicende di una vita vissuta.
In corso d’opera peraltro si decise di filmare una delle performances e proporla in esclusiva sulla piattaforma Netflix, mentre la Sony Music pubblicò lo scorso Natale la versione dell’evento in un doppio cd e 4 lp. Sull’onda di un successo in realtà mai venuto meno in tutti questi anni, Bruce Springsteen ha comunque dato seguito alla sua corposa discografia pubblicando lo scorso 14 giugno Western Stars, suo diciannovesimo album in studio. Al di là dell’exploit economico di questo grande successo e del suo impagabile lato romantico c’è lo specchio di una sensazione generale che sta caratterizzando il pensiero di molti grandi star del panorama internazionale. Una precisa volontà di alternare le performances in grandi spazi a situazioni più intimistiche e dove la componente musicale si mescoli a quella narrativa come a soddisfare la recondita necessità degli Artisti più celebrati di aprirsi e raccontarsi in un contesto completamente diverso.
Non è affatto un’involuzione, ma al contrario un’esigenza se si vuole anche spirituale dove il ridimensionamento quantitativo è la condizione base per riuscire a comunicare in maniera diversa. Dagli anni Settanta era in voga quasi esclusivamente negli Stati Uniti una consuetudine che vedeva grandi Popstar concludere accordi milionari con i grandi Casino per andare a esibirsi ogni sera per mesi in esclusiva. Fu il caso di Elvis Presley e Frank Sinatra, ed in tempi più recenti di Celine Dion, Michael Bolton e tantissimi altri. Una pratica più dettata da esigenze di esclusività commerciale che di un’esigenza spirituale a dire il vero! In Italia il caso Springsteen ha già trovato un parallelo con il cantautore romano Francesco De Gregori, protagonista di 20 date al Teatro Garbatella di Roma per un set semi acustico che in qualche modo seguiva il concetto di recital. Un segnale, ma inequivocabile che in un mercato della musica regolamentato sempre più dai grandi numeri e da contesti di pubblico di massa, ci sia in realtà spazio e anche per gli artisti più popolari ed acclamati di trovare e percorrere strade alternative per promuovere la propria musica in contesti più intimistici.
“Springsteen On Broadway” è anche il titolo dello speciale show trasmesso da Netflix dal 16 dicembre, il giorno dopo la fine delle repliche dello spettacolo (Qui il teaser di 30 secondi creato dal regista, vincitore di un Emmy Award, Thom Zimny).
Paolo Maiorino