Il buddismo secondo Stefano Davide Bettera
Gli argomenti, i fatti di vita reale sono energia che gira da una parte all’altra del mondo, parlando una lingua concreta: quella del buddismo per esempio spiega la relazione che esiste con l\'esperienza. Il Buddha era una persona concreta è anche il titolo del libro di Stefano Davide Bettera, edito da Rizzoli, che affronta la via del pensiero orientale da una prospettiva dell’occidente. Accosta la realtà percepita partendo da Epicuro, il quale parla di felicità agli schiavi, o da Pirrone che è il filosofo scettico greco antico dell’Elide orientale. Essere felici, come sostiene anche la scrittrice Angela Lombardo, che da diversi anni studia Epicuro, è scoprire la forza dell’essere goderecci ma nella giusta misura. «Ognuno conosce il proprio punto di equilibrio, quello che se superato supera anche il piacere. Epicuro era un maestro zen e, secondo me, gli dei si divertono a disegnare i destini delle nostre vite. - continua l’autrice - La gioia epicurea è un’arietta che ti rinfresca quando fa caldo. L’intuizione che ti coglie per caso come quando, in un libro degli anni Venti, mi accorgo che Pirrone di Elide era il maestro del maestro Epicuro. Una linea dritta, semplice ed efficace, quasi troppo facile che infatti sembra essere stata occultata per millenni: insomma per troppo tempo.»
Nel suo libro La vita dolce, si trova il curioso sottotitolo: La via mediterranea alla Felicità. Quindici esercizi epicurei per la vita di oggi e, senza affannarsi a spaccare il capello in quattro sulla natura ultima della realtà o su infiniti strati della coscienza, ci convince che anche nella nostra frenetica vita si possa cogliere quell’attimo di contatto con una felicità a portata di mano. Ci informa inoltre che Alessandro Magno era una vera e propria pop star del mondo antico, con seguaci dai numeri vertiginosi. Si trascinava nei suoi grandi viaggi i filosofi, gli storici che erano veri e propri follower coi quali il leader scambiava idee e ampliava esperienze e percezioni. Tra i gregari vi era proprio Pirrone, il sostenitore dell’impossibilità di percepire una realtà affidabile, punto importante di contatto col buddismo.
«Nel Canone pali, il testo più antico che racchiude verosimilmente i principi del buddismo - aggiunge Stefano Davide Bettera - si capisce cosa realmente ha detto il Budda che, parlando di politica, afferma che il luogo dove gli esseri possono vivere completamente liberi e non divisi in caste, è proprio la polis, citando le città greche; stiamo parlando del V sec. a.C.»
Il che non è strano se pensiamo che il Buddha nasce nel nord est dell’India, sull’antica Via della seta, l’attuale linea di confine ai piedi dell’Himalaya tra Nepal e India, zona certamente di cultura indiana ma dove il bramanesimo di allora non era ancora diventato legge e dove l’induismo antico non era dominante. Area geografica in cui, insieme alle merci, circolavano le idee. E non è così stravagante pensare che il Buddha, come altri suoi coetanei, abbia studiato in un ambiente fertile di sollecitazioni diverse.
Lungi dall’essere un principe, come lo vorrebbe il mito, pare fosse figlio di una casta agiata, se non di guerrieri sicuramente non di agricoltori, un’estrazione sociale medio alta con un certo tipo di possibilità, immerso in questa città dell’odierno Pakistan, al confine tra il mondo greco “orientale” e il mondo indiano “occidentale”: Taxila, che era un po’ l’Alessandra d’Egitto del mondo indiano, dove c’erano maestri della filosofia greca e indiana che non solo si incontravano ma comunicavano tra di loro.
«Pensare a un mondo per scatole chiuse dove ognuno, oriente e occidente, si faceva sostanzialmente gli affari propri non solo è un illusione – sostiene Bettera - ma è un errore storico, sia dal punto di vista culturale che antropologico.» L’immagine del Buddha come ce lo rappresentiamo nell’iconografia odierna, testa blu seduto in meditazione con le braccia giù, è in realtà la raffigurazione di Apollo, lo si capisce in quella sezione del museo di Parigi dedicata all’arte Gandhara, frutto di contaminazioni tra comunità greche post alessandrine che avevano fuso concetti filosofici del buddismo mantenendo usi e costumi del popolo greco. Pirrone, al seguito di Alessandro Magno, entra sicuramente in contatto con monaci buddisti e induisti tanto che molte delle sue intuizioni, e di quelle dei suoi allievi in seguito, all’impossibilità di percepire una realtà affidabile accostano al concetto che tutto sia in cambiamento.
«Il greco antico è una lingua incredibile, una parola contiene altro, come composta da strati in cui emergono sempre nuovi significati, non divergenti ma uno dentro l’altro - aggiunge Valeria Lombardo - una lingua che puoi spacchettare e puoi trovarci dentro un mondo. Quasi come se ci fosse un modo di comunicare attraverso le parole che esiste uno spazio sacro: quello dell’intuizione.»
E infatti, l’unico modo che Epicuro suggerisce per vivere la vita, schivando il più possibile il caos, è cercare di unire il proprio intento alla realtà, anche quello a noi nascosto o sconosciuto, quello che si profila come intuito e sogno. Come se ci fosse un altro sguardo, un’altra realtà che si percepisce con gli occhi e coi sensi ma che insieme si poggia su quella zona che non puoi che individuare col sogno. Ed è così anche nell’insegnamento buddista dell’esperienza. Non a caso il corpo ha nel buddismo un’importanza nodale, col corpo la mente dialoga con la realtà, sperimenta ed entra nel mondo. Semplificando: lo strumento della meditazione ti consente di indagare il presente, inteso come relazione con l’esperienza.
«Col tempo poi si è inevitabilmente finito col creare teorie metafisiche di realtà relativa e assoluta, - precisa Bettera - nel buddismo più arcaico questa dimensione della realtà come idea sulla realtà non esiste affatto. L’imperativo di questa filosofia resta immutato: sperimentare ma in una realtà inafferrabile perché in continuo mutamento; il nostro momento di sofferenza nasce proprio quando proiettiamo i nostri bisogni di punti fermi.» Gli attaccamenti creano vissuti che vengono costantemente smentiti perché messi in una realtà in continuo movimento. L’elemento più forte del buddismo è lo svelamento di questa “impermanenza” non come limite ma come grandissima possibilità: tutto cambia e ogni istante diventa il momento che ci consente di fare il salto, smettendo di essere schiavi di qualcosa che di per sé è sfuggente. Se si riesce ad entrare in sintonia col continuo mutamento si svolta ed è lì che si afferra tutto quanto. Entrare in sintonia con questo processo cambia profondamente, sembrano saperlo i milioni di utilizzatori dei social dell’hashtag più usato: #carpediem, sono giovani che più che nativi digitali potrebbero benissimo essere definiti come nativi epicurei.
«Epicuro utilizzava spesso il verbo “timonare” - sostiene Valeria Lombardo - per cui per quanto possa infuriare la tempesta, per quanto possa favorire o ostacolare l’ambiente esterno, il timone resta sempre nelle nostre mani. Spesso, per poter parlare di felicità, utilizzava verbi presi dal mondo del lavoro per essere capito anche dagli schiavi. Procedeva con un concetto di felicità che coincide con l’avere la responsabilità della propria vita. Ai ricchi augurava la buona fortuna di riuscire ad essere facoltosi e felici senza rimanere schiavi delle masse o dei potenti.»
Tenere il timone della vita è alzare l’asticella del proprio ruolo nel mondo ed è il dato che la storiografia cerca di fissare in quell’attimo impermanente tra storia e filosofia. Gemma Beretta, unica storiografa del 900 di Ipazia di Alessandria, nel suo libro di Editori Riuniti, ne fa una digressione interessante, suggerendone una lettura come di destino compiuto. Proprio per la dirompenza che il sapere di Ipazia aveva raggiunto, che è la vera leva del cambiamento, e grazie al suo temperamento indomito, creerà una frattura nel tessuto sociale. La figlia del colto Teone, di cui superò nettamente le competenze, il personaggio pubblico, la matematica, la filosofa e l’astronoma greca antica confluiranno sulla sua sorte, rendendo Ipazia l’icona di una lacerazione ideologica di un intero mondo. Verrà assassinata nella notte in una vicenda che simbolicamente evoca la dimensione esistenziale del non fidarsi della realtà il che, per le scuole filosofiche realiste e idealiste, era davvero un concetto sovversivo. Il detonatore viene innescato proprio accanto al carisma dell’intento di Ipazia, già di per sé sufficientemente esplosivo.
Ipazia d’Alessandria, immortale e compiuta, continua a realizzare la sua esperienza da sempre, in quello spazio sacro da lei intuìto che il mondo moderno chiamerà visibilità.
Anna Maria Turra