Busiri Vici, l’architetto alla corte del Principe
Il via vai di persone e il discreto vocio di turisti che assaporano la bellezza dell’architettura di un borgo perfettamente integrato con la natura circostante. Sono le immagini di inizio stagione di una Costa Smeralda che, come una bella donna, veste il suo abito più elegante per mostrarsi in tutto il suo splendore.
A cinquantasette anni dalla sua fondazione, era il 1962, la Costa Smeralda conserva intatto il suo fascino. Se si spostassero indietro le lancette dell’orologio in una sorta di viaggio temporale fino al 1950, ci si imbatterebbe di certo in un’altra realtà: una macchia mediterranea aspra e rocciosa, senza strade, senza luce né acqua, priva quindi di infrastrutture primarie e secondarie.
«L\'Aga Khan - commenta l\'architetto Giancarlo Busiri Vici, uno dei “padri” della Costa Smeralda - inizialmente aveva in mente di andare in Corsica, poi fu convinto da un caro amico della Banca Mondiale, John Miller, a visitare la Sardegna e a valutare degli investimenti. Non fu difficile convincere il principe che programmaticamente coltivò l\'idea di creare “una anti Costa Azzurra” fornendo l\'alternativa di un luogo dove praticare sport e godere di una natura incontaminata da rispettare quasi con un senso di sacralità». Fu quella l’indicazione che il Principe dette, nelle prime riunioni convocate a Olbia, a un gruppo di architetti di fama internazionale: Michele Busiri Vici con il figlio Giancarlo, Jacques Couelle, Luigi Vietti, Antonio Simon Mossa e Raymond Martin, esperto di urbanistica.
«Siamo stati chiamati al buio - prosegue Busiri Vici, allora giovane architetto al seguito del padre -. Non avevamo dettagli e proporzioni. Il primo sentimento fu quello di una grande curiosità e un certo entusiasmo. L\'avventura cominciò nel settembre del 1961, quando con mio padre ci trovammo, a tarda sera, sul traghetto da Civitavecchia per la Sardegna e, nella sala da pranzo, potemmo scorgere il Principe che parlava con il suo collaboratore di fiducia, l\'avvocato Ardoin. Lo riconoscemmo subito, ma evitammo di contattarlo. Il giorno dopo ci vedemmo alla riunione già fissata al Jolly Hotel di Olbia. Fino ad allora avevamo una certa percezione della famiglia dell’Aga Khan, filtrata dalle notizie di stampa, e per così dire leggendaria, ma di fronte a noi avevamo un giovane completamente diverso, entusiasta, pieno di impegno e coraggio. Da quell’incontro scaturì un intenso lavoro di trattative, durato due anni, per l\'acquisto dei terreni e i colloqui con le istituzioni».
Gli architetti avevano la totale fiducia del Principe e pur con provenienze e culture diverse, Couelle francese, Vietti milanese, i Busiri Vici romani e Simon Mossa sardo, riuscirono tra loro a individuare un minimo comune denominatore in grado di armonizzare le opere progettate. In quest\'ottica, nei pressi della basilica di San Simplicio a Olbia, fu aperto uno studio comune: Studio Architetti Costa Smeralda, dove i professionisti potevano confrontarsi.
Un ufficio che però ebbe vita breve, circa due anni, perché gli architetti preferirono lavorare nelle proprie città di provenienza. Fondamentale fu la stesura di un codice di alcuni elementi delle tradizioni sarde:
«La splendida natura sarda interagiva con i nuclei edilizi - spiega Busiri Vici -. Io stesso, con un mio collaboratore, feci un lungo giro della Sardegna fotografando gli elementi più caratteristici dell\'architettura sarda: balconi, portali, colori, coperture e numerose serie di dettagli che inserimmo in un libro fotografico e che mettemmo a disposizione degli altri architetti».
È nato così un linguaggio architettonico che, curando l\'omogeneità di alcuni elementi e materiali molto unificanti come l\'uso del granito, ha portato, in ciascuna opera, la firma ben distinguibile di ogni singolo architetto.
Davide Mosca