Dal tradurre all’essere tradotti. Marcello Fois presenta “La mia Babele”
Marcello Fois – autore e giurato del Premio Costa Smeralda - ha presentato il suo nuovo libro, La mia Babele (Solferino Libri), presso Nonostante Marras, lo splendido spazio dell’artista algherese di via Cola di Rienzo a Milano. Con lui erano il linguista Giuseppe Antonelli e la giornalista Daria Bignardi. E solo pochi giorni prima l’ultima opera dello scrittore barbaricino era stata presentata alla libreria Elli con Dacia Maraini e Maria Ida Gaeta. Tanti nomi prestigiosi per un’opera letteraria che è tra i titoli proposti per il Premio Strega.
«Il libro è una sorta di memoire della mia formazione, il racconto di come ho dovuto passare la prima parte della mia vita in qualche modo a tradurmi» spiega lo scrittore originario di Nuoro e quindi sardoparlante in famiglia. E così, come il polacco Joseph Conrad con l’inglese e il boemo Milan Kundera con il francese, il barbaricino Marcello Fois ancora oggi scrive sì in italiano, ma in una lingua che lui considera “appresa”. «Naturalmente la mia famiglia conosceva l’italiano, solo che in casa non era necessario usarlo e io ho iniziato ad apprenderlo a scuola».
Da qui parte il libro: dall’apprendistato di uno scrittore, incluse la storia della sua nascita, avventurosa e fortunata, e quella del suo nome di battesimo, molto poco sardo e per niente familiare. Al punto che «Mia nonna aveva messo una sorta di fatua sul mio nome, tant’è che mi ha sempre chiamato Antonello e io sono tuttora Antonello per tutti i miei famigliari». E poi il suo essere quasi un alieno sia a scuola, dove «ero l’unico di tutto l’istituto a portare gli occhiali», sia in famiglia, in cui «i fratelli dei miei genitori avevano minimo cinque fino a un massimo di undici figli, mentre io sono figlio unico», oltretutto talmente precoce nella lettura («a quattro anni ho imparato a leggere da solo») dall’essere sommerso di libri regalati in ogni occasione. Inizia così il percorso linguistico del futuro scrittore, che impara “a calci” l’italiano a scuola e leggendo fino allo sfinimento tutto quello su cui riesce a posare lo sguardo, in particolare Il Conte di Montecristo, Moby Dick e le opere dell’amata Grazia Deledda.
Fois si sente allo stesso tempo scrittore e traduttore di se stesso, visto che ansia, paura, rabbia ancora oggi, dopo decenni, continuano a manifestarsi in lui nella lingua sarda abbandonata col trasferimento a Bologna per gli studi universitari in filologia italiana con il grande Ezio Raimondi. E mentre la sua carriera di scrittore prendeva il via e, nel giro di pochi mesi, inanellava la vittoria al Premio Calvino per esordienti con i racconti sull’arte di Picta, la pubblicazione del primo romanzo, Ferro recente, per la piccola casa editrice Metrolibri di Bologna, man mano avvenivano gli incontri fondamentali con Piero Gelli negli uffici dell’Einaudi e poi con Carla Tanzi e Frassinelli, assieme a tanto lavoro di scrittura, nuove pubblicazioni e tanta divulgazione.
Ecco che a un certo punto della carriera arrivano le prime traduzioni dei suoi libri in altre lingue. «Finalmente era qualcun altro a dovermi tradurre dall’italiano». Così Fois, diventato un autore affermato, dedica la seconda metà de La mia Babele ai suoi traduttori - tre inglesi, quattro francesi, tre tedeschi, uno spagnolo, un giapponese e poi anche un sudafricano, portoghese, svedese… - e per ogni traduttore racconta i problemi affrontati, lo stile utilizzato, gli incidenti di percorso e le avventure, incluse le relazioni che spesso diventano di amicizia e l’emozione straordinaria di ricevere l’edizione giapponese. «La seconda parte è un debito di riconoscenza nei confronti di queste persone che hanno tradotto i miei libri spesso magnificamente, e che quindi si sono presi un carico importante di rendermi credibile anche in universi differenti, in un modo non molto diverso da quello che avevo fatto anch’io su me stesso, ovvero di rendermi credibile per il mondo letterario attraverso una traduzione che fosse rispettosa. Sono un autore molto privilegiato».
Un libro godibilissimo, quasi steineriano, che diverte e fa riflettere, da leggere tutto d’un fiato.
Arianna Pinton