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3 Gennaio 2020

È la Sardegna la nuova patria della birra artigianale


Quando pensi di essere arrivato a conoscere veramente la Sardegna ti imbatti sempre in qualcosa di straordinario che ti fa tornare indietro fino al punto da dove eri partito. Una volta è un luogo, un’altra una storia e poi una tradizione, un costume o un oggetto, una sagra, un piatto tipico o un vino. Tutti lasciapassare verso la conoscenza di un’isola dalle mille sfaccettature. Tra queste il mondo della birra artigianale sarda.



Da sud a nord dell’isola, quarantacinque birrifici sono sparsi in tutte le province, tutte con una storia e con un comune denominatore: il culto della birra.



Secondo uno studio di Antonio Furesi, sommelier della delegazione sassarese dell’Ais, si è passati da un rapporto abitanti/microbirrifici/brewpub pari a circa un birrificio per 50mila abitanti del 2016 ad un birrificio per 38mila abitanti di oggi. Al pari di regioni molto più popolose come Lombardia e Piemonte. «La Sardegna è partita negli anni Novanta e poi sono nati i tanti microbirrifici, beer firm dove la propria birra è realizzata in birrifici altrui e brew pub dove viene servita la birra prodotta autonomamente. Alcuni birrifici agricoli producono la materia prima, orzo e luppolo, conferendo al prodotto una connotazione più territoriale e identitaria» spiega Antonio Furesi.



Ed ecco la birra di frumento prodotta utilizzando il grano Senatore Cappelli o produzioni particolari che sfruttano la polpa di fico d’india, il miele di corbezzolo o di asfodelo, il vermentino o la malvasia. Ale, Pills, Bock, Stout: gli stili sono quelli ispirati alle produzioni tedesche, belghe o anglosassoni.



E se si vuole abbinare il cibo sardo ad una buona birra non c’è che l’imbarazzo della scelta. «Un pasto, a iniziare dagli aperitivi fino al dolce, può essere accompagnato da una birra artigianale. Un binomio perfetto per il tipico maialetto è ad esempio una Double Ipa. Ottime, poi, le birre dolci come le Imperial Stout o IGA per le tilicche, copulette e gli altri prelibati dolci sardi» conclude Furesi.


Davide Mosca

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