Franco Campus, il sindaco-archeologo
Franco Campus è l’archeologo e grande esperto di età nuragica e anche il sindaco di Ittireddu, il paese nella provincia di Sassari con la percentuale di concentrazione di monumenti storici, in relazione alla sua superficie, che supera di gran lunga la media nazionale. Il numero dei ritrovamenti archeologici inoltre fa risultare ancor più esiguo il numero della popolazione: più reperti che anime, perché su Ittireddu si contano 488 persone, distribuite nell’antica regione del Logudoro, dove il suolo continua a restituire nuove testimonianze di civiltà arcaiche. Studia a Roma ed è un vero esperto di protostoria europea il primo cittadino di quel luogo incantato che si estende sulla collina denominata monte Ruiu, traduzione in lingua sarda di monte rosso. Tutt’intorno appaiono dei rilievi di origine vulcanica, fu l\'epicentro di un terremoto nel 1870, il più forte mai rilevato sulla terraferma in Sardegna dall\'Istituto nazionale di geofisica, con una potenza stimata del 5º - 6º grado della scala Mercalli.
Capita l’importanza straordinaria dei Nuragici sull’isola, Franco Campus si appassiona allo studio di un passato che gli fornisce gli strumenti con cui oggi si appresta a codificare una nuova importante emergenza.
Il sindaco aveva previsto a breve, nel museo del paese che ospita una moltitudine di testimonianze storiche, una mostra sugli Etruschi. Innumerevoli fin qui sono state quelle sui popoli nuragici ma, concentrato nel non cadere in un Identitarismo sterile, resta convinto che molto accada prima, dopo e durante la nostra esperienza e che la lezione del presente dimostra d’essere almeno importante quanto quella dei nostri antenati.
«In Sardegna sono molte le città come la nostra, ricche di ritrovamenti archeologici ma nel mondo non esistiamo solo noi, - dichiara Franco Campus - sta per partire una mostra etrusca con l’intenzione di far vedere il patrimonio inestimabile che esiste al di fuori dall’isola e di ospitare quello altrui, per noi questo ha il significato di continuare ad includere una parte del mondo dentro Ittireddu. Se da una parte tutto ruota attorno alla nostra identità dall’altra dobbiamo riflettere a lungo e in maniera profondissima su questo sostantivo che, a voler ben guardare, non ha né genere né plurale».
Aggirando i il pericolo di aggrovigliamenti su se stessa di una popolazione sempre soggetta a etichettature, ha curato la mostra L’uomo non ha radici ma piedi, facendo sua una frase di André Leroi-Gourhan, antropologo del secolo scorso che, a proposito dell’immigrazione, inserisce un forte elemento di riflessione che il sindaco e l’uomo non hanno voluto lasciarsi sfuggire.
Né soprintendenziale né accademico, Franco Campus si ritiene libero di esprimere un suo pensiero scientifico e, definendosi fuori dell’apparato, dichiara: «La libera professione mi dà un vantaggio che definisco un varco di libertà, è la possibilità di scrivere quando sento davvero di aver qualcosa da dire» Poi aggiunge che quel qualcosa deve appartenere al doppio registro dell’essere originale e meritevole di un suo contributo al dibattito in corso.
Accanto a Barbara Wilkens, archeo zoologa, si è recentemente dedicato alla consulenza di un percorso di alimentazione nuragica accanto allo chef Gianluca Giannoni, per una manifestazione prevista in Costa Smeralda, ora spostata nel cuore dell’estate, che vedrà numerosi esponenti dello scenario artistico e musicale dell’isola accanto all’intera filiera dell’agroalimentare. Sinergicamente pensata dall’associazione culturale A foras Sardegna oltre l’Isola, la kermesse si svolgerà ai Giardini di Porto Cervo. Proporrà, nel ricettario di Gianluca Giannoni, in cui la tradizione alimentare incontra la storia dei popoli, un pretesto d’aggregazione culturale che nell’arte pittorica, nella poesia estemporanea e nella musica, trova la sua miglior forma di naturale congiunzione. Un’impresa in cui enogastronomia e circuiti di enoturismo convergono in un knowhow del tutto isolano. Ne nasce un asset dove la competenza di Franco Campus è centrale, un ricettario atipico in cui vengono trattati piatti della tradizione sarda con la particolarità di essere costituiti da elementi presenti nell’età nuragica. Con il supporto dell’Università di Sassari, in un’indagine accanto alla facoltà di scienze naturale e geologica, genetica e evoluzionistica del dipartimento di botanica ecologia vegetale, la ricercatrice Barbara Wilkens conferma i dati da cui nascono gli spunti e le ispirazioni che diventano vere e proprie linee guida.
Parla di Nuragici Franco Campus e dell’operazione resa possibile dall’incontro tra arte e professionalità, tra storia e presente di un lavoro di squadra che coinvolge un mondo: non solo quello uno chef o quello di un’accademica. L’incredibile interazione tra Wilkens e Giannoni, che venendo dai Monti Martani sembra rappresentare simbolicamente il tassello mancante della civiltà etrusca, spiega molto dello scenario di aggregazione tra i saperi che Franco Campus immagina per una comunità efficiente.
E che i Nuragici si pregiassero di un’alimentazione rispettosa delle rotazioni delle colture, dimostra la cifra sempre attuale e paradigmatica della sacralità del nostro pianeta. Evitare l’impoverimento del terreno è l’eccellente strategia, nota anche ai popoli dell’età del bronzo, per un’alimentazione basata prevalentemente su cereali, semi, verdura, frutta fresca e secca.
Il contributo di Stefania Wilkens, la cui competenza non si limita all’alimentazione carnea, in grado di avvallare conferme sulle ossa che negli animali definiscono specie e dimensioni, crea vere e proprie aree di identificazione restituendo una visione precisa della comunità arcaica. Nel cibarsi di animali che sono stati sfruttati per l’agricoltura, per esempio, si ha l’informazione di una relativa condizione di povertà. Non così se gli animali sono giovani, il dato dimostrerebbe che stiamo parlando di una comunità florida, in grado di cibarsi di giovani esemplari. Dalle specie domestiche e selvatiche si può ricostruire flora e fauna, poi stabilire le dimensioni con la ricomposizione degli scheletri. Si parla di paleo economia nel luogo di ricerca in cui si attesta, con ragionevole certezza, che i buoi venivano aggiogati, diventando funzionali all’agricoltura. «Qui subentra il botanico o il carpologo, colui che studiando i reperti dimostra che se tu archeologo hai trovato dei semi di una certa pianta, questa ovviamente è esistita ma tu hai bisogno di lui che ne stabilisce con certezza il periodo - scandisce Franco Campus - dai resti botanici e dalle analisi sui meloni, le ciliegie, la vite si può dedurre che quasi sicuramente i nostri antichi antenati conoscessero il vino, ma ciò fino a poco tempo fa non era assolutamente dato per certo. Solo con le recenti analisi gascromatografiche, condotte nel fondo dei vasi rinvenuti, si accertarono residui di acido tartarico che ne fornirono la prova. Noi negli scavi troviamo i vinaccioli e gli acini carbonizzati ma quando anche non ci fossero tracce di frutto, numerosi possono essere gli indizi che ci portano a un’identificazione deduttiva. Il lavoro è sempre d’equipe.
La gallina non c’era come non c’era l’asino, ce lo dicono le numerose tecniche di indagine analitica su reperti e ambiente, eppure era certo l’utilizzo delle uova, quindi prima di cedere all’interrogativo se sia nato prima l’uovo o la gallina, arriva chi ci tranquillizza: si tratta di uova di un altro volatile. Orate e cozze sono state trovate, così come le ostriche soprattutto di fiume, nelle aree nuragiche lungo la costa. Lenticchie e maiali erano presenti, pane e ciambelle si vedono anche nei dettagli dei bronzetti, così come le grandi focacce ancora oggi in uso che si identificano col nome di moddizzosu, il pane che viene cotto nel Campidano con la legna di lentischio detta moddizza. I bronzetti nuragici ci informano di tanto ma non di tutto eppure, per esempio, non ci lasciano escludere la presenza di quella che noi comunemente chiamiamo “baguette”.
Ciambelle e torte, così come tutti derivati del latte, dobbiamo presupporre che li conoscessero per via dei residui di caseina trovati nei vasi. Fino a poco fa non sospettavamo minimamente della presenza del melone che pensavamo importato dal vicino Oriente. Quindi i popoli dell’Età del bronzo non solo esercitavano una forte produzione cerealicola ma erano titolari anche di una massiccia e variegata gamma ortofrutticola. Del resto, 10mila nuraghi non avrebbero potuto essere costruiti se non a fronte di un sistema di risorsa della ricchezza agricola ben organizzato se non addirittura centralizzato».
Nella mostra dei Nuragici che Franco Campus ha curato come consulente scientifico, condotta in numerosissime sedi della cultura e nel museo di Ittireddu, con più di 100 mila visitatori, vi è una sezione dedicata all’agricoltura, una alla metallurgia e una all’alimentazione. Tre suggestivi pannelli spiegano, partendo dal mito di Aristeo, come venne realmente introdotta l’agricoltura nella storia dei Nuragici, su quali tappe consequenziali avessero avuto accesso all’attività agraria per sostenere la civiltà più importante dell’Età del bronzo.
Si parla del pane e del vino e, sebbene le comunità nuragiche fossero ben organizzate, capirne la struttura è un viaggio affascinante attraverso la razionalità umana. Le loro tecniche di gestione del bestiame, dedotte da studi meticolosi e incrociati, ci servono a capire un’intera economia; immaginiamo le pelli con cui si facevano il vestiario: l’animale veniva utilizzato a 360 gradi, pellami e tendini erano elementi anche destinati a prodotti dell’artigianato.
Oggi il primo cittadino è impegnato nel creare un servizio capillare per contenere i disagi nell’emergenza lockdown a Ittireddu, anziani e bambini restano le fasce più fragili e la favola di Esopo è il messaggio che sceglie di inviare loro, raccontato in un messaggio dalla sua stessa voce.
«La Costituzione mi dice che sono responsabile della protezione civile e della salute dei miei cittadini, - dice Franco Campus - sull’isola siamo in 377 sindaci e non mi sento certo solo ma l’abitudine all’attività scientifica mi porta ad alzare costantemente la soglia dell’attenzione» .
Per Franco Campus il ruolo di un sindaco-archeologo non può limitarsi a una prima valutazione d’impatto nell’ambito dei lavori pubblici ma si estende all’impatto emotivo che il delicato momento storico ha su ciascun cittadino, ed è la comunità a restituirgli, negli sguardi e nei gesti, la considerazione che fa di lui una figura di sostegno e di contenimento.
Anna Maria Turra