Giorgio Murru, quando esperienza si fonde con la passione
Laureato all\'Università di Cagliari, indirizzo Storico-archeologico, formato alla scuola di Giovanni Lilliu e di Francesco Cesare Casula, Giorgio Murru è attivo nel campo della ricerca nei settori della preistoria e della protostoria sarda e mediterranea.
Dirige importanti musei in ambito regionale nei quali si occupa, in particolare, del marketing e della comunicazione. Ha progettato e realizzato itinerari e reti culturali su territori ampi ed eventi finalizzati alla valorizzazione tematica di macro aree e, alla luce della sua competenza, risponde ad alcune domande sul ruolo che la struttura museale riveste.
Il museo si può intendere come il luogo dove esercitare una libertà: studio, ricostruzione storica possono rappresentare un gesto rivoluzionario?
«Credo che il Museo nella sua essenza, nel suo più ampio significato e nelle totalità delle accezioni sia di per sé un’opera rivoluzionaria. Lo era già nell’800 quando in Europa e in Italia soprattutto, matura il culto della conservazione e migliaia di reperti provenienti per tipologie e culture dai siti di rinvenimento, nello specifico dai grandi santuari dell’archeologia classica, verranno studiati e proposti all’attenzione del pubblico. Il Museo diviene così un importante strumento di comunicazione, un dispenser di informazioni ma soprattutto un supporto indispensabile per la politica culturale di un popolo, di una nazione. Un grande megafono i cui suoni giungono a tutti i livelli della vita sociale, rivolto in primis alle scuole, e il cui verbo è la riscoperta della grandezza di un passato aureo, l’elevazione dei miti, la celebrazione degli eroi e degli eventi che hanno contribuito alla costruzione di un’idea di nazione.
Ma è dalla seconda metà del secolo passato che nuove discipline quali la museologia e la museografia apportano contributi importanti alla comunicazione nei Musei, tracciano percorsi fondamentali sui principi espositivi capaci di consentire ai reperti di potersi esprimere al massimo, di poter raccontare la propria storia e di dialogare con l’interlocutore/visitatore, grazie all’ausilio delle nuove tecnologie sia informatiche che illuminotecniche. A tale proposito un notevole contributo finalizzato all’apprendimento dei preziosi contenuti ci viene dalla didattica museale che ha predisposto tecniche di comunicazione finalmente rispondenti a bisogni di un pubblico sempre più vario per cultura, ha adottato un nuovo linguaggio per rendere accessibili i messaggi. Così l’arido contenuto di vetrine spesso mute acquista con il racconto quel ruolo di protagonista della storia; la narrazione renderà l’insieme espositivo un testimone straordinariamente eloquente, sfrondandolo da luoghi comuni e accademismi ed ecco il magnetismo dell’emozione. Un grande teatro con una splendida scenografia, un abile regista e attori di cuore, il copione è stato scritto dai Padri, dalla loro storia che aspetta di essere celebrata. Allora potremo parlare del Museo come di un luogo libero che invita ad un approccio libero per tutti, studiosi, semplici fruitori, visitatori e bambini. Più rivoluzionario di così!»
Tra tempo e tempio: può spiegare il potere d\'attrazione dell\'architettura monumentale?
«Da sempre l’uomo ha subito il fascino delle grandi manifestazioni che la natura esprime, ne ha contemplato la bellezza, si è sentito soggiogato dalla grandezza e dalla forza, ne ha subito il fascino da cui è sempre stato rapito, provando a dare un senso a questo insieme di espressioni scavando negli anfratti più intimi dell’anima. Come poter rimanere indifferenti di fronte alla magnificenza di un paesaggio montano di vette innevate proiettate verso il cielo, allo scorrere di un fiume ora placido e paterno più tardi impetuoso e scorbutico, alla vista del mare col suo moto incessante e incostante, al silenzio ossessivo di un bosco dominato dai patriarchi millenari, al tepore di un sole rosso al tramonto?
Già dai tempi remoti del Paleolitico, quest’uomo cacciatore e raccoglitore, schiavo nomade al seguito degli instancabili branchi di grandi erbivori, ha provato a rimettere ordine nella sua mente studiando il cielo e andando a ricercare in tutte queste meraviglie l’artefice supremo, l’architetto del creato, avendo già chiara una distinzione sostanziale: c’è un Dio celeste signore della luce e delle tenebre, padre delle stagioni mutevoli, del sole e della pioggia, supremo e potente, e poi c’è la terra, amorevole, fertile e generosa, madre del mondo animale e vegetale, premurosa madre del genere umano sia in vita che durante il viaggio pieno di insidie verso l’aldilà.
Nel lungo incedere del tempo l’uomo, affinate tecniche e conoscenze, ha cominciato a progettare e costruire i suoi monumenti, dapprima solo apparentemente semplici, come i menhir, poi via via sempre più complessi, piramidi in Egitto, nuraghi in Sardegna, e ancora vere e proprie città protette da alte mura con palazzi e templi da Oriente a Occidente.
La materia comune è la pietra, il desiderio, sfacciato e sublime, è avvicinarsi alla divinità, sfiorarla attraverso opere sempre più ardite e mirabili, impreziosite da musica e colori affinché tutti i sensi potessero essere coinvolti in tale processo. Ricercare la perfezione stilistica e formale altro non è che il tentativo di avvicinarsi alla divinità, un modo per celebrarla e sentirsi popolo di un Dio. E questa sacralità si coglie tra i tanti dettagli che compongono come un puzzle un’opera d’arte, un monumento, da cui trasuda il genio e lo sforzo evidentemente profusi per la realizzazione. Questo insieme di sensazioni è alla base del magnetismo al quale l’uomo non può sottrarsi anche quando, casualmente, vi si trova di fronte. Ne siamo attratti, catturati, e altro non possiamo fare che una riverente contemplazione, ma nel profondo dell’anima un fremito leggero sollecita un moto d’orgoglio e allora, inevitabilmente, ci troviamo totalmente immersi in tanta bellezza, non solo spettatori passivi ma protagonisti, anche noi autori e protagonisti».
Nella bulimia di un turismo strattonato tra cultura e vacanza, esiste una strategia di comunicazione del Museo di Laconi?
«Parlare di musei in senso generico credo non sia corretto. Ci sono musei e musei e la distinzione sta nella forza di attrazione, nella capacità di catalizzare l’attenzione del pubblico e di conseguenza, produrre numeri importanti indipendentemente dai contenuti. I musei delle grandi città d’arte da questo punto di vista fanno la parte del leone, costituiscono il salotto buono delle città stesse, la facciata culturale delle comunità di cui sono espressione. Spesso sono Musei Nazionali e quindi godono di attenzioni particolari da parte dello stato e perché no, di una buona dose di privilegi. Ma nonostante ciò non è detto che tali attenzioni siano sinonimo di successo.
Anzi. La politica attuata dal MiBact in questi ultimi anni che vuole a capo dei più importanti Musei Italiani manager della cultura di collaudata vivacità e competenza, soprattutto nella comunicazione e nell’organizzazione, manifesta il bisogno di rinnovare il settore se non proprio di scuoterlo. Poi ci sono i musei minori, quelli civici o privati, una miriade di realizzazioni con distribuzione capillare su tutto il territorio nazionale, la cui sopravvivenza è data principalmente dall’organizzazione, dalla politica culturale adottata, dalla forza e dal coraggio di lanciare vere e proprie sfide al sistema attraverso l’applicazione di due principi: innovazione e competenza. In breve? Comprendere prima degli altri cosa vuole il pubblico, mettere a punto gli strumenti necessari, e trasformare il museo in un luogo libero.
E’ la politica che ha perseguito il Menhir Museum di Laconi negli anni. Un museo specialistico dedicato alle statue preistoriche della Sardegna, ospitato nello scenario sfarzoso di Palazzo Americh, nel cuore di uno dei paesi più belli della Sardegna.
Farne un luogo accogliente, non oppressivo, rassicurante dove il visitatore non è mai un ospite ma il protagonista di una scena, è lui che sceglierà il modo migliore di approcciarsi alle raffigurazioni dei Grandi Padri, ai Capi, agli Eroi divinizzati e immortali, al dialogo che con essi vorrà instaurare.
Il Menhir Museum è il paladino di un fenomeno culturale mediterraneo e continentale che dall’Atlantico investe l’Europa fino agli Urali e al Caucaso, e il Medioriente, passando per il nord Africa fino al Marocco, che parla di un mondo di 5mila anni fa quando i popoli gettano le basi culturali del mondo moderno.
Oggi il Museo di Laconi è capofila di una Rete Nazionale dei Musei delle Statue Stele Menhir, a cui hanno aderito le realtà nazionali che ospitano statue preistoriche dalla Lunigiana all’arco alpino fino alle Puglie, un insieme di luoghi della cultura con i quali si opera per la creazione di una nuova coscienza, una consapevolezza che l’orologio della civiltà italiana va portato indietro di almeno 2mila anni».
Anna Maria Turra