Giorgio Saba alla ricerca di un sito mitologico
La sua passione per l’archeologia, la sua docenza in architettura nei licei, durante una navigazione in barca a vela, lo conducono a un rivoluzionario approccio alla conoscenza e scrive il suo libro dal titolo interlocutorio: Scusi, dov’è l’Ade? Ipotesi sulla storia antica della Sardegna. L’intuizione parte da un luogo e coincide con la sensazione nota, quasi una di quelle strambate che nella vita accadono, quando gira il vento e sai che modificherai la rotta: colpa di un dé jà vu mentre attraversa quel tratto di mare misterioso situato tra le isole di Sant’Antioco e quella di San Pietro.
Inizia un nuovo avvincente viaggio che, alla ricerca di conferme, lo porta alla descrizione di un sito mitologico identico al posto della sensazione già avvertita. E incomincia così a spulciare tra le reminiscenze degli antichi cronisti, da Platone a Pindaro, per trovare dove diavolo poteva aver già letto la descrizione perfettamente coincidente con quel luogo.
Sabatino Moscati, col suo libro L’enigma dei Fenici, è certamente la molla che fa scattare in Giorgio Saba una nuova e più convinta postura sulla storia della Sardegna. Sull’isola di Sant’Antioco, l’antica Sulki, situata a sud ovest della Sardegna, vennero rinvenute ben mille stele in pietra scolpita, tutte di carattere funerario: tale ritrovamento ne fa a pieno titolo il sito mediterraneo specializzato in questo genere di produzioni.
Ma anche di sacrifici agli dei. Inutile negarlo: alcuni testi di Pindaro ma soprattutto alcune descrizioni di Euctemone, relative alla posizione delle Colonne d’Ercole, pongono troppe similitudini con il sito dell’arcipelago del Sulcis. Le leggendarie colonne secondo tali descrizioni si trovavano a una distanza dal Peloponneso pari alle attuali 1000 miglia, a 300 miglia dallo stretto di Messina presso due isole distanti 3 miglia e circondate da bassi fondali entro le quali, anche in presenza di forti burrasche, il mare placava le sue onde mostruose. In prossimità di una palude davanti all’Atlante che, nelle descrizioni di Omero ed Esiodo, era la rappresentazione metaforica di due colonne sulle quali poggiava la volta celeste.
Inoltre, secondo Euctemone, esse non erano formate da rupi o vette, ma poggiavano direttamente nel mare; mentre secondo Pindaro esse costituivano un vero e proprio avviso ai naviganti: il messaggio d’illeso ritorno. E ancora: le isole costituivano l’arcipelago delle Esperidi, facevano parte di questo arcipelago Erizia e il suo frutteto dalle “Poma d’Oro”, isola nota anche col nome di Eliseo che era quella parte dell’Ade riservata a coloro che erano benvoluti dagli dei. Tutto ciò viene collocato presso il regno di Medusa, antica regina di Sardegna e di Corsica, in Mauritania. E se è vero che all’epoca veniva identificata con Mauritania l’area tra il Marocco e parte dell’Algeria, è vero anche che veniva così chiamata anche la regione sud-occidentale della Sardegna.
Quindi, considerato che in Marocco e in Algeria non esiste alcun arcipelago, l’unico sito che si incastra perfettamente a tutte queste caratteristiche è per l’appunto l’arcipelago del Sulcis. Ed ecco che la visione avuta da Giorgio Saba trova conferma in una schiera di illustri narratori. Avvicinarsi alla costa per usufruire della cosiddetta brezza di terra è stato simbolicamente per lui come cercare accanto a ricercatori del calibro di Platone, Omero, Esiodo, Apollodoro, Dicearco da Messina, Pindaro, Plinio il Vecchio, Avieno e anche alcuni autori moderni tra cui Sergio Frau o Giuseppe Mura. Scrivere il suo libro il mezzo che, confortato dall’incoraggiamento di numerosi amici, lo porta ancora una volta al largo per ignorare il timore di essere considerato un visionario.
«Racconto una mia ipotesi, adoro potermi servire di pensatori eccellenti, moderni ed antichi - confida Giorgio Saba - ho insegnato a lungo tra i ragazzi delle scuole superiori e forse da loro ho imparato a non farmi bastare la realtà delle cose. Quel loro pretendere di cambiare la linea di valutazione, quel loro tornare al posto eppure quel loro modo di non sentirsi mai a posto.»
Per l’architetto e per il velista Giorgio Saba la curiosità coincide col cambio di rotta su di una carta nautica perfettamente orientata, mentre per il proffessor Saba solo alcuni studenti sono in grado di immaginare, altri di sapersi fidare dell’istinto, altri ancora di unire le due cose. Non esiste un unico modo per l’esperienza dell’apprendimento ma è in questo modo che il suo libro nasce, nonostante sia poco pubblicizzato, in soli otto mesi esaurisce la prima edizione e ora sta per esaurire la seconda.
Da ragazzo suonava in un gruppo dal nome che oggi risulterebbe straordinariamente mediatico, loro erano I Santamonica, facevano cover dei Jethro Tall - «Poi il gruppo si è sciolto, nei primi anni Settanta facevamo del progressive rock ed eravamo anche molto bravi oltre che molto affiatati ma, purtroppo, non abbiamo sfondato, poi sono passato agli Shardana: eravamo in cinque, il tastierista Franco Corda, un orecchio assoluto, ha avuto un grande successo ma all’estero.»
Spesso si trova all’associazione S’Atza, un circolo culturale impegnato nella diffusione e salvaguardia della cultura sarda, si confronta con il professore di geofisica Gaetano Ranieri, col quale discute sulle infinite possibilità di fraintendimento che la storia può fornire. Per esempio, sulla supposizione che i giganti di Mont’è Prama si ergessero come sentinelle appoggiate all’ingresso di uno stadio. Rinvenuti in un’area limitata, quasi a dimostrazione di essere ricoverati in una zona di rimessaggio se non addirittura di smaltimento, secondo i due studiosi non erano delle statue funerarie, come sostengono le accreditate fonti archeologiche.
Anna Maria Turra