Halloween in Sardegna
“Dolcetto o scherzetto?”. Un ritornello tradotto dall’inglese ma che nasconde sotto sotto qualche frammento di storia che riguarda più da vicino la cultura sarda. Eppure non sono mai mancate le occasioni in cui l’opinione pubblica si è spaccata sulla festività di Halloween.
C’è chi negativamente la riduce a una festa importata dal mondo anglosassone con la globalizzazione, ma se si andasse davvero a fondo a questo rituale si troverebbero delle affinità davvero impressionanti, a giudicare dalla distanza geografica tra alcuni luoghi come la Barbagia e l’Irlanda. Il motivo va scovato nell’incontro tra la cultura celtica e quella romana, che decide per l’appunto di assimilare (come del resto ha fatto anche con le divinità dell’antica Grecia) alcune ricorrenze come il Samhain, celebrato dal 31 ottobre al primo di novembre.
Per i celti questo era il loro Capodanno, che come la nostra concezione odierna andava a decretare l’inizio di una nuova annata. Il Samhain (che secondo l’etimologia gaelica samuin significava “la fine dell’estate”) coincideva con l’ultimo periodo di raccolto, quanto gli ultimi frutti andavano a colmare l’ultimo spazio a disposizione in attesa dell’inverno. Il terreno andava lavorato per le nuove piantagioni, e l’intervallo tra la preparazione e la prima fioritura aveva per quelle popolazioni anche un significato metafisico. Era come se il tempo in superficie si fermasse, diventando l’istante in cui il controllo dell’uomo sulla natura poteva essere minacciato da eventi esterni, come le carestie. La paura di un futuro incerto veniva dunque associata al quel passaggio che vedeva la notte superare la luce del giorno, e la morte entrare in contatto con la vita.
Secondo il mito i due mondi nel Samhain entravano in relazione, nel bene e nel male. Visto nel lato positivo, il ricordo degli spiriti erranti del passato era un momento di straordinaria importanza, soprattutto se questi avevano contribuito alla preservazione di una comunità. Come tutti gli eventi, il disequilibrio del Samhain poteva avere degli effetti nefasti, e l’unico modo per esorcizzarli era riunirsi attorno a un grande focolare (denominato il Fuoco Sacro) ed effettuare dei sacrifici animali. Il fuoco ricavato dal falò veniva in seguito riutilizzato e portato verso il villaggio limitrofo.
Il cattolicesimo ha preso in parte questo rituale fissando il giorno dei morti il 2 novembre. Lo dimostra il Día de los Muertos, che nella tradizione messicana rappresenta uno dei momenti più intensi di tutto l’anno, dove tutta la comunità si mobilita per ricordare i defunti con cibo, fiori e candele che vanno ad adornare le tombe dei rispettivi antenati.
Uno degli ultimi film Pixar, Coco, rappresenta al meglio questo rituale nella sua declinazione cristiana, un evento in cui la memoria familiare non solo riemerge, ma diventa il momento perfetto per stare insieme e celebrare la vita insieme a tutti i parenti più stretti, anche quelli che in quelle ore si fanno sentire nel cuore di ognuno.
E la Sardegna? Dopo questo lungo viaggio dall’Irlanda al Messico, approdando nell’isola si troveranno alcune tracce. L’odierna festa di Halloween (quella che vede Jack o’ Lantern vagare per l’eternità dopo essere stato escluso sia in Paradiso che all’Inferno), ha in realtà messo le proprie radici molti anni fa anche in questa terra, anche se con nomi differenti, da is Animas a Su Mortu Mortu. La più conosciuta è la sagra di Su Prugadoriu in Ogliastra.
L’uso della zucca in alcune zone come la Barbagia aveva un preciso significato. O meglio, era lo strumento per raggiungere uno scopo: la pioggia. Come si è già scritto, il passaggio dall’estate all’autunno (e successivamente all’inverno) poteva portarsi appresso diverse complicazioni. In assenza l’acqua, i raccolti erano a rischio. La gente doveva dunque trovare un rimedio per impedire che quell’eventualità diventasse un fatto dagli esiti sconcertanti. Il primo rito, più tetro, prevedeva l’esposizione di teschi umani, ma solo in seguito si decise di sostituirli con la zucca, vista la sua somiglianza.
L’ultima usanza da non trascurare è quella che riguarda i bambini, che in quelle giornate vanno a bussare alle porte delle case intonando la frase “Si onada a is animasa?”. Se le parole possono cambiare secondo una specifica località, il rito che le unisce è la richiesta di un’offerta per le piccole anime che si trovano nel limbo. I doni, che possono essere dolciumi o pane nero, una volta consegnati vengono condivisi con l’anima errante che potrà così mangiarli insieme a loro.
Riccardo Lo Re