Il calciatore che diventa produttore di mirto
Fino a qualche tempo fa calpestava l’erba dei campi da calcio. Adesso raccoglie le bacche di mirto e produce un liquore che per il palato è una vera delizia. Antonio Castelli, sardo di Bitti trasferito a Olbia, è stato il portiere di numerose squadre di serie C e da giovanissimo ha anche indossato le maglie del Cagliari e della Reggina in serie A.
Di agricoltura non sapeva quasi nulla, ma questo non è bastato a frenare i suoi progetti. «Per i calciatori uno dei momenti più difficili si presenta quando arriva il giorno in cui decidi di smettere. Ti rendi conto di non sapere niente del mondo del lavoro. Però mio nonno faceva il pastore e in qualche modo la campagna mi era sempre piaciuta, così mi sono messo a studiare e alla fine sono diventato produttore di mirto» racconta l’ex portiere.
La sua etichetta si chiama Mirto Sannai. In un terreno che si trova nelle campagne di Olbia, lungo la strada per Arzachena, Antonio Castelli realizza un liquore che nel giro di pochi anni è riuscito a conquistare importanti palcoscenici. Il Mirto Sannai si vende solo in una ventina di ristoranti e alberghi della Costa Smeralda e delle zone limitrofe. Fondata nel 2015, l’etichetta ha fatto subito il suo ingresso in Eataly e nel frattempo ha conquistato prestigiosi riconoscimenti. «Dopo l’addio al calcio mi sono iscritto a un master in marketing e valorizzazione del made in Italy nel mondo. Poi ho cominciato a piantare. La prima piantagione è andata male. Ma io sono un tipo testardo: ci ho riprovato e le altre sono andate decisamente meglio» sorride Castelli.
La produzione Sannai supera di poco le 3mila bottiglie l’anno. Quattro le varianti: mirto di bacche, mirto di bacche e foglie, mirto bianco e mirto e miele. È l’estrema qualità a contraddistinguere i liquori Sannai, tanto che possono essere abbinati con il cibo come si fa per esempio con il vino.
Tutto questo grazie anche a un processo produttivo rigorosamente artigianale. L’ex calciatore, infatti, fa tutto da solo: pianta, raccoglie le bacche, incolla le etichette a mano.
Nel suo laboratorio non c’è nemmeno un macchinario. «Per me non è un business, da questo lavoro io ci ricavo uno stipendio. È un progetto che mi gratifica e che mi sta dando tantissime soddisfazioni» confessa.
A dargli una mano e a incoraggiarlo è sua moglie: Jenny Barazza, anche lei una sportiva, per una decina di anni è stata un pilastro della nazionale azzurra di pallavolo. Una campionessa che in bacheca conserva tre scudetti, tre Champions league, tre Coppe Italia, due Supercoppe, una Coppa del mondo e un campionato europeo.
Dario Budroni