Il sogno dello scorpione, il nuovo libro di Salvatore Niffoi
«Whatever it takes», sembra dirlo anche Salvatore Niffoi nel suo nuovo romanzo Il sogno dello scorpione, sullo sfondo la pandemia, una febbre che lui chiama Cajentura.
Scrive in italiano e pensa in sardo: lo scrittore sfonda il muro dei 70 anni ma proprio non riesce a smettere di anticipare tempi. Precede con parole messe in fila gli eventi mentre, semplicemente, accade che lui stenda una bozza di romanzo e che questo, regolarmente, diventi una premonizione virale. È andata così anche per le sue donne di Orolè, per le vedove scalze, per chi vende metafore e ancora per i suoi miracoli a colpi di bastone. Con i suoi lavori si è accaparrato il premio Campiello senza staccare mai i piedi da terra: Orani è la sua isola.
Tradotto in più lingue, l’esponente della Nuova letteratura sarda dichiara: «La scrittura è femmina e, essendo un atto d’amore, ha suoi tempi precisi di seduzione, tra concepimento e gestazione alcuni personaggi chiedono si sparire dalle storie, altri pretendono di entrarci, prima sono bulimici poi anoressici.»
Il sogno dello scorpione se ne sta fermo per anni, almeno da quando un ennesimo terremoto scuote il Giappone e uno tsunami provoca il disastro di Fukushima; rimane, come tutte le cose scritte, immobile ad aspettare un epilogo. Ed eccolo: arriva insieme al Covid 19, quando forse neanche l’autore sarebbe riuscito a prevedere che la realizzazione di una visione tanto astratta si avverasse, simmetrica e inquietante, nella vita vera di qua e di là dei balconi di casa nostra. Lo scenario desolato che questo virus ha saputo imporre al pianeta era scritto da anni in questo romanzo oggi edito da Il Maestrale.
Un finale che gli rotola in testa a lungo, nascosto sotto macerie di impegni da chiudere, difficile da raggiungere quanto spegnere il mondo e le storie. Complicato dal disperato ottimismo di una scrittura che si rifiuta di deframmentare, insieme a Zygmunt Bauman e agli interpreti Fellé e Taniella, l’idea della morte. E tramite i suoi protagonisti avanza invece un’idea di salvezza: lasciare il mondo non è più grave di restarci senza rispettarlo. E ancora informa che restarvi, rivolti alla sedativa ricerca di banalità, porta a follie collettive.
Con Carlo Salinari, suo ispiratore e professore universitario, continua a vedere la cultura come riscatto e unico ascensore sociale, a credere al fatto che il paradiso sia qui. Non che gli vada molto di parlare, ha appena perso un amico che stima, Piero Mannironi, storica firma del giornalismo. Cerca, con la voce fatta di soli pensieri, di procedere a consegnare la normalità di cui ha fretta l’Universo. Lo fa con un libro.
«Un’altra storia fottutissimamente sarda, - spiega - due esseri umani ballano nel mondo, nella parte biblica c’è il serpente e la mela, nell’orto è scoppiata la primavera in anticipo e le gelate non hanno scoraggiato le fresie, lo ammetto è autobiografico – ride Salvatore Niffoi – come quando ero piccolo e mio nonno mi suggeriva “fottitene Salvatorino che per dormire ci sarà tempo”. Io resto un insonne totale.»
E se l’unica vincita certa della lotteria della vita è la morte, giusto il tempo di lasciare qualche ricordo, protagonista resta la riflessione sulla capacità umana di gustare la normalità; per continuare a vivere non serve che un nuraghe e il sogno altro non è che un anticipo di realtà. È tutto quel che basta, ma è anche a ogni costo.
«L’uomo si crede proprietario assoluto della terra, invece deve ricordarsi che è un ospite provvisorio, molto provvisorio. Ancora una volta in questo mio lavoro racconto di chi cambia e ha un potere, di chi ama e preferisce non sopravvivere all’amore della propria vita. Spegne la luce e va via. E poi ancora parlo di chi attraversa la peste che sta in ogni epoca. La scoperta nasce da mio nonno materno, in miniera era il guardiano alla polveriera, un uomo rivoluzionario e moderno. Istruito alla scuola Radio Elettra, conservo ancora le sue dispense, da solo ha costruito il nostro primo televisore e quando accendendolo, nel caos ordinato della sua stanza da inventore, girando un pomello gigantesco tra lo sfrigolio dei suoni, sul video è apparsa una nevicata e il simbolo della Radio Televisione Italiana, è stata magia allo stato puro. Miracoli della tecnologia che mi hanno costretto fin da bambino a sognare; mio nonno era un uomo modernamente antico e quando doveva dare consigli molto seri addirittura balbettava. Fu lui a dirmi, quando per la prima volta vidi l’aeroplano: “Fosse per me non l’avrei neanche inventato, il cielo è per gli uccelli, la terra per gli uomini e l’acqua per i pesci”.»
Si restano accanto Felle Tamale e Taniella Pistiddu, il passato bruciato nel buio, scoprono il piacere di stare al mondo, ammettono che la vita è in fondo una meravigliosa, ridicola, funerea follia.
Qualunque cosa richieda.
Anna Maria Turra
Crediti foto Franca Loru