Il soprannome: rivelatore d’identità
I soprannomi nella lingua sarda, tra identificazione e sberleffo, sono la misura di una società che tramanda se stessa, l’immagine sorprendente e vitale di appartenenza a una stirpe.
“De cale ses” (che tradotto è di quale sei?)
“Dei Floris, sono figlio di Antoni Floris”
“Antoni Floris, quale?”
“Antoni Floris, ispacca tròddia” (che tradotto è spacca scoregge)
Un siparietto del genere in Sardegna è piuttosto comune e, come in una mano di poker, potresti sentirti rispondere che “non basta”. Per riuscire a vincere la surreale partita, per sbrogliare l’intricata matassa di dichiarare la propria identità servirà mostrare una scala, o almeno un full. Per sgombrare il campo da equivoci sulla propria provenienza serve qualcosa che metta tutti d’accordo: il soprannome, detto su proerju, su paranumene, perché in molti paesi, in particolare in quelli dove insistono tante omonimie, è il soprannome il vero rivelatore d’identità.
“Sembra che ci sia una differenza abissale tra il nome di battesimo, un atto burocratico che non lascia traccia, e il soprannome che si scrive nell’animo della gente”. Così scriveva sui soprannomi Bachisio Zizi in Lettere da Orune, l’intellettuale la cui narrativa è talmente fedele alle investigazioni identitarie da essere riferimento unanime per parlare di Sardegna al resto del mondo. E spiega infatti che a Orune, piccolo centro nella provincia di Nuoro, sin dalla notte dei tempi, i soprannomi sono stati fonte inesauribile di ispirazione e conoscenze, una pratica diffusa e in grado di scatenare ilarità e interesse.
Col soprannome si può blandire, creare una sorta di alone di prestigio, oppure si può sbeffeggiare facendo leva su pettegolezzi, difetti fisici o tratti caratteriali.
“Chi ha la ventura d’innalzarsi a dignità di soprannome diventa personaggio, non importa se tragico o grottesco, purché sia coerente con il segno impressogli dalla comunità” precisa Zizi. Se anche la letteratura si è appropriata di questo espediente, è certamente perché il soprannome è simbolo dell’identità psicologica non solo delle persone a cui viene affibbiato, ma dell’intero contesto sociale di riferimento.
Da Cicito Masala con i suoi sciarlò, culobianco, Pestamuso a Salvatore Niffoi con Nennedda piliruja e Tibora ventrilasca, senza dimenticare Rosso Malpelo di Verga o Azzecagarbugli del Manzoni o Leonardo Sciascia che eleva le nciùrie (i soprannomi in siciliano) a una sorta di genere letterario.
Cul’e fùffere, Pane ‘e galera, Brillinu, Annathedda, Culu ‘e tromejana, Conca ‘e boe…“Se letta in sequenza e con la giusta intonazione - scrive ancora Bachisio Zizi - la mappa dei soprannomi sembra possa descrivere la vera identità del paese. Presi individualmente i personaggi non hanno esistenza, è l’insieme che riscatta e introduce all’umano, al di fuori del quale non c’è che il vago e l’insignificante.” Letti dalla voce di un cronista calcistico quei nomi potrebbero sembrare la formazione di una squadra straniera. Eppure, ognuno di loro si porta appresso un destino, il riflesso di grandi e piccole virtù, le più dissacranti malelingue, canti o versi adulatori mentre dietro ogni appellativo di sintesi si celebra la storia di intere generazioni.
“Si ribella, all’inizio, contesta, si offende, ma poi il “portatore” si adatta a conviverci, e così il soprannome resiste, persiste, diventa una seconda natura”, parola di Bachisio Zizi che sulla propria lingua e storia ha riflettuto talmente a lungo e profondamente da produrre una letteratura che ancora oggi fa scuola, e mostra come spesso colpe e glorie si estendano a tutta la progenie in maniera davvero democratica. Insomma, oltre a saperlo portare il soprannome bisogna conquistarselo e, se proprio l’impresa non ci appassiona, possiamo sempre riflettere su quale fine abbiano fatto i soprannomi di una volta. Potremmo scoprire che hanno lasciato il posto ai nickname che dal web sostituiscono nome e cognome, filtrandoli con la nostra idea e il nostro desiderio di essere. Che siano questi oggi quegli identificativi in grado di soppiantare i soprannomi e la loro l’originaria funzione popolare? Declinando una nuova descrizione di noi stessi e del nostro mondo, i nuovi sostantivi lanciano in rete le proiezioni del nostro ego, sintetizzano realtà tanto parziali quanto l’idea che ciascuno ha di sé, abdicando a qualsiasi connotazione del gruppo sul singolo.
Anna Maria Turra