La corsa e le ginocchia, la realtà contro il mito
La corsa, spesso se occasionale, può comportare dei piccoli effetti collaterali. Fastidi alle articolazioni, dolori muscolari alle gambe. Ma da qui a dire che il running possa portare inevitabilmente all’artrite, è tutto da dimostrare. «Ma non ti fanno male le ginocchia?». Certo, è una delle attività fisiche che più sollecita le nostre gambe. Anche le caviglie ne possono risentire se non si appoggiano i piedi nel modo corretto. Ma il “mito del ginocchio” è davvero complesso da sfatare, nonostante una lunga serie di studi dimostrino l’innocenza della corsa. Anche se ciò non vuol dire evitare gli infortuni, frequenti sia per i runner amatoriali che per i professionisti quando si cerca di alzare sempre di più l’asticella delle proprie prestazioni, sostenuti da un paesaggio incantevole come la Costa Smeralda.
Rimanere coi piedi non troppo a terra
L’ultima ricerca è firmata dal Dr. Ross H. Miller, docente dell’University of Maryland in College Park. Già nel 2014 si era occupato di questo tema partendo dal carico delle articolazioni del ginocchio durante la corsa. L’idea più comune è che correndo quella zona viene sollecitata con più rispetto alla camminata. Il che è sostanzialmente vero. Ma ciò che emerge da questo studio è altro. Se è vero che con il running le persone toccano terra con una forza maggiore, la frequenza con cui i corridori appoggiano il piede è minore. Per percorrere lo stesso tragitto, si sta più tempo con le gambe sollevate in aria, riducendo i passi e, di conseguenza, gli impatti sulle articolazioni.
Lo studio del University of Maryland in College Park
La ricerca appena pubblicata su PeerJ consiste in uno studio su 22 partecipanti. Una simulazione al computer che utilizza i dati sull’andatura e delle sperimentazioni passate per stimare la probabilità di rottura della cartilagine nel lungo periodo. L’obiettivo è mettere in relazione due attività: 6 chilometri di camminata; e 3 chilometri di corsa alternata a 3 con un’andatura normale.
Il calcolo si è basato sul modello che intreccia il danno, la riparazione e l’adattamento dei tessuti, suddividendo gli esiti in diversi scenari. Nel primo si ipotizza che la cartilagine non si rigeneri; un elemento che viene invece inserito nel secondo caso ricreato dal modello. Ma è il cosiddetto l’adattamento (la capacità di rafforzarsi a seconda delle situazioni) a restituire dei dati incoraggianti.
I risultati
Per il gruppo dei 6 chilometri di camminata si ha la probabilità di sviluppare l’artrite nel 36% dei casi, riducendosi del 13% se si prevede una riparazione del tessuto. Per chi pratica la corsa, i primi due scenari possono preoccupare. Il rischio arriva al 98% nel caso in cui la cartilagine non si rigenera, limitando di soli 3 punti percentuali (95%) nella seconda ipotesi. Ma se si tiene conto della capacità del corpo di adattarsi (un aspetto già riscontato in alcune specie animali), i dati parlano di un 13% di rischio, come per la camminata.
Alcune avvertenze
Come sempre, ogni ricerca va sempre presa con la giusta prospettiva. In questo caso, non vengono presi in considerazione la genetica, la nutrizione, il peso corporeo di ciascun partecipante. Fattori che vanno in qualche modo a influire sui casi di artrite. Ma è altrettanto importante sottolineare come questi dati non possono prescindere da una prevenzione adeguata. Prima di una sessione, il consiglio è di effettuare un breve riscaldamento seguito da alcuni esercizi di stretching, in modo da evitare strappi che possano mettere a rischio la prestazione. Lo stesso vale alla fine della corsa. Anche qui l’esercizio è fondamentale, dall’allungamento del polpaccio all’estensione delle zone interne delle cosce. Non può mancare l’estensione del tendine del ginocchio, dei glutei, e del muscolo psoas, così da essere pronti per il prossimo tour della Costa Smeralda, il paradiso perfetto per l’outdoor training.
Riccardo Lo Re
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