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La Costa Smeralda nell’arte di Mari Del Buono
19 Marzo 2020

La Costa Smeralda nell’arte di Mari Del Buono


Mari Del Buono è la pittrice di Cavaria, nella provincia di Varese, la cui vocazione per l\'arte impersonale nasce in Costa Smeralda. Tra il Sottovento e il Ritual, famosi locali mondani, le sue prime opere astratte prendono ispirazione proprio dalla spiaggia rosa di Budelli. Fortemente attratta dalla nascente Costa Smeralda, con la tecnica pittorica detta dei “neuroni specchio”, Mari Del Buono si aggirava alcune decine di anni fa in compagnia dei pionieri di quella che è l’attuale Costa Smeralda, tra di loro anche i costruttori di quelli che diventeranno i più famosi hotel, insieme si recavano per pranzare a Budelli nella baia che si poteva raggiungere esclusivamente dal mare, dove il guardiano che somigliava e imitava Paolo Villaggio, cucinava esclusivamente per i pochi amici privilegiati. Tra intimità e risate prendevano corpo progetti e sogni come i bagliori del sole sul mare. Brilla così l’oro dei quadri che la pittrice Mari Del Buono, esporrà in aprile in Villa Torlonia a Roma e che prossimamente raggiungerà l’America e poi Dubai. 



«L’ispirazione dell’incredibile natura della Sardegna nei giorni dell’invincibilità e delle passioni, si faceva largo a zonzo tra il ristorantino Il pirata di Porto Raphael dove il pescato del giorno, aragoste alla catalana, si alternava alle crèpe nelle ore piccole del Sottovento, solo per noi insonni. Poi in un attimo all’improvviso si poteva anche decidere di spostarsi al Jackie’O, l’iconico locale di Roma. Eravamo pazzi e senza confini, quelli sono stati gli anni delle amicizie incrollabili che ti accompagnano riempiendo la vita d’incanto. Mai come allora mi sono sentita libera e, tra le confidenze che forse sono ancora là incastrate nella roccia del Ritual, si perpetrano legami che durano ancora oggi come quello con l’amica Carla Papa, moglie del capitano dei carabinieri, allora impegnato nei complessi eventi della cronaca della Barbagia.»



L’arte di Mari Del Buono che lei stessa definisce “impersonale”, non le appartiene se non per quell’istante della realizzazione. I suoi quadri sono di chi li riconosce e se ne appropria. Lo studio che conduce sulle rune la fa accostare a quella schiera di esecutori che fanno da tramite alla sorte. Le rune, simboli che trovano le loro origini nella tradizione germanico-vichinga, sono lo strumento nelle mani operose di una donna straordinariamente sensibile e decisamente accurata. Studiarle ed accostarsi a quel loro potere divinatorio e magico è, per questa artista moderata, semplicemente appoggiarsi con rispetto ad un altro mistero, quello del popolo Celtico che usarono le rune come strumento associato alla forma tradizionale druidica espressa attraverso la lettura degli Ogham: i pezzetti di legno intagliati con i simboli rappresentanti il loro alfabeto criptico.



La sua totale dedizione alla natura fa di lei una donna incline a percezioni dalla purezza inquietante. Perché l’arte se esiste è nella natura, oltre ogni discorso ideologico di rispetto del pianeta lei aderisce a una precisa volontà di protezione. La creatività per lei è già la necessaria trasgressione. Mari Del Buono pensa che ci sia un’evoluzione nel conflitto da cui ognuno attinge per la propria realizzazione: il mago ha un conflitto con la normalità, il giocoliere con l’equilibrio come del resto il trapezista che sfida la forza di gravità ma tutti quanti noi abbiamo un problema con la noia. « Che i miei quadri siano o no capiti, la questione non si pone »



Secondo Mari Del Buono la natura è la risposta, intesa in maniera trasversale anche come rispetto della vera natura di ciascuno, per lei lo spettacolo, lungi dal dover andare avanti, si può tranquillamente fermare e intanto i suoi quadri si vendono. Vanno da soli, vanno via, come il pane.



«Esistiamo per gli incontri. Sorprendere non è il mio motto, amo creare e creare legami. I miei quadri sono semplici dei motivi di unione, lo sono sempre stati e se un mio pezzo accende qualcosa - conclude Mari Del Buono - allora significa che appartiene a chi ne resta catturato. Per questo a volte firmare le mie opere mi crea un sottile disagio »




Nei suoi quadri esiste sempre un centro e di norma il soggetto è l’universo dove usa il bianco e il nero, o i colori complementari, che si uniscono per accordarsi. A volte usa i cristalli, a volte oro e argento tra il plexiglass ecco che appaiono anche le rune.




La prepotente essenza delle sue creazioni si può guardare nel corso delle mostre, nelle diverse gallerie d’arte e poi si può dimenticare. Continuerà ad operare in una dimensione. L’arte impersonale si può certo anche acquistare quando questo rappresenta scelta di una propria direzione verso una pratica che, come molte altre, viene esercitata in un libero mercato.


«Chi sono io per definirmi artista?» dice lieve Mari Del Buono, ricorda il Papa con la questione che spacca in due l’istituzione millenaria della chiesa, sa di buono e di vero, toglie il vecchio e riluce di pienezza, porge un’esperienza slegata dal resto, da quel che è noto.



I diamanti, quelli veri, appaiono come lei: puri. Nessuno si interroga sulla loro natura e conoscere la durezza della pietra per lo più non aggiunge molto al desiderio di possederla.


Eppure, lei racconta della sua vita senza reticenze, è una donna energica ed incredibile, con incrollabile positività narra di un’ispirazione pittorica nata in Costa Smeralda, negli anni 70, quando la spiaggia ancora vergine accoglieva un esclusivo clan di vip che scopriva gli abitanti della costa. Imperatori che da generazioni la popolavano accanto a donne che, come oggi, assecondavano la vita. Tutto resta immutato nella sua mente.



«Sono stata in Costa Smeralda, cambiano i gestori degli hotel ma sono identici in tutto ai loro padri che quegli hotel li hanno costruiti, sottraendoli con perizia alla roccia incantata. Io allora poco più che ventenne uscivo coi primi imprenditori edili che si affidavano al giovane principe illuminato, all’inaugurazione di una compagnia aerea che preannunciava un vento di libertà e le donne in costume tipico sardo parlavano da tempo quel linguaggio insofferente ai limiti e alle imposizioni. Da tempo dentro le comunità sarde le donne già costruivano istanze di sviluppo. Credo che l’Aga Khan fosse un vero hippy con il dono d’interpretare i codici di un intero popolo, una personalità rivoluzionaria in grado di sciogliere le corde di una ideale segregazione che i sardi a lungo hanno mal tollerato. Si sbaglia a considerare i sardi isolani nel senso di isolati o chiusi. Basta guardare la loro storia per capire che popolo di viaggiatori e di mercanti siano stati. Nella loro natura si scorge una curiosità e una lungimiranza in grado di portarli a grandi espressioni artistiche, economiche ed oggi sono uomini con l’attitudine di anticipare grandi visioni.»


Non vede grandi differenze nella contemporaneità.  Ancora oggi nelle sue lunghe riflessioni condotte con l’amico Marcello Acciaro, che ha avuto un ruolo di rilievo nell\'intensa fase di avvio con l\'incarico di direttore sanitario del Mater Olbia a La Maddalena, scopre le infinite gradazioni di autenticità nella fibra di quella generazione che l’ha incoraggiata ad esprimere la sua innata forza.



Anna Maria Turra


Inspiration

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