La leggenda del Rolex Daytona: storia e prospettive
Il celebre psicanalista svizzero Carl Gustav Jung diceva che «chi è privo di un mito è un uomo che non ha radici». Anche un marchio di orologeria che non ha un pezzo-mito si basa su fragili radici. Per sua fortuna (e bravura), Rolex questo mito ce l’ha e nel 2023 compie sessant’anni. È il Daytona. Se la parola “icona” è spesso utilizzata a sproposito, in orologeria e non solo, nel caso del cronografo di Rolex nato nel 1963 calza invece a pennello.
All’inizio la parola Daytona non era collegata all’orologio. Si riferisce alla spiaggia di Daytona, in Florida, luogo scelto tra gli anni Dieci e Cinquanta del Novecento per battere i record di velocità su veicoli a motore. La compattezza della sua sabbia e il suo sviluppo rettilineo rendevano la spiaggia una pista naturale ideale per queste sfide. Nel 1959 fu completato l’anello d’asfalto del Daytona International Speedway, costruito per volontà di William France Sr. che indossava spesso un Rolex, e che comparve in una pubblicità del marchio negli anni Sessanta citando il brand come orologio ufficiale del circuito. Fin dalle prime edizioni della gara Daytona Continental, al vincitore fu assegnato, oltre al trofeo, un Rolex Cosmograph. Così nel 1964, a un anno dalla nascita del Cosmograph ref. 6239 (questo il nome del primo orologio), sul quadrante comparve la scritta Daytona, sotto alla scritta Rolex Cosmograph.
Nella referenza 6239 del ‘63 per la prima volta la scala tachimetrica a 300 scomparve dal quadrante e fu stampata sulla lunetta esterna. Il look sportivo era completato dai quadranti panda o inverted panda, con i contatori a contrasto subito leggibili, pensati per il cronometraggio in pista. Anche lo spostamento della scala tachimetrica sulla lunetta rispondeva a questa esigenza. Un’esigenza che ebbe anche Paul Newman, pilota di buon livello oltre che attore, il quale era solito indossare una particolare versione della ref. 6239, divenuta famosa con il suo nome, caratterizzata da uno speciale quadrante: la scala dei secondi era stampata attorno a esso, su una banda dello stesso colore usato per i contatori, in contrasto rispetto al resto del quadrante e, in alcuni casi, con una graduazione in rosso. I contatori, invece, si differenziavano per gli indici quadrati che ne facilitavano la lettura.
Nel 1967 fu presentata la ref. 6240, nella quale i pulsanti a pompa furono sostituiti da quelli a vite, la cui funzione principale fu quella di garantire una maggiore impermeabilità. La lunetta tachimetrica ebbe il disco nero in plexiglas e la scala graduata in bianco. Nelle referenze degli anni successivi l’impermeabilità fu portata a cinquanta metri, fu introdotta la certificazione COSC e i quadranti ebbero la scritta Daytona in rosso, stampata sopra il contatore al 6.
L’anno di svolta fu il 1988. Con la ref. 16520, il movimento manuale lasciò il posto all’automatico, su una base El Primero della Zenith modificato da Rolex, che lo rinominò Calibro 4030. Tra il 1989 e il 1990 il Daytona cambiò la grafica della lunetta, portando dapprima l’inizio della scala tachimetrica a quattrocento unità per ora e poi l’intermedio a 240, arrivando alla configurazione definitiva che conosciamo ancora oggi. Le migliorie introdotte nel tempo portarono la ref. 16520 a diventare sempre più il simbolo della capacità industriale e di marketing di Rolex, oltre che uno degli orologi più ambiti e ricercati. Nel 2000, uscì di produzione, sostituita dalla 116520, la cui più importante novità fu l’introduzione del Calibro 4130.
Gli ultimi vent’anni hanno significato soprattutto nuovi materiali: acciaio Oystersteel, platino e metalli preziosi per cassa e bracciale, Cerachrom per la lunetta, nuovo bracciale Oysterflex. Il resto è storia recente, con le referenze presentate quest’anno a Ginevra, tra le quali spicca la 126506 in platino con, per la prima volta, il fondello aperto. Un’altra pietra miliare in una saga che guadagna fascino e preziosità, referenza dopo referenza. Appuntamento ai prossimi sessant’anni! (Davide Passoni)