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La terra delle donne: magia e emancipazione in Sardegna
21 Settembre 2023

La terra delle donne: magia e emancipazione in Sardegna


Ci sono voluti sette anni di produzione per terminare questo film. Un racconto che l’attrice e sceneggiatrice, Paola Sini, ha cercato di portare avanti tenendo conto anche delle aspettative e dei desideri del pubblico. «Sono una grande fruitrice di cinema da sala - ci spiega l’interprete - e mi sono immedesimata nel ruolo di spettatrice in modo da realizzare un film in maniera serena e in libertà». Da qui è nata La terra delle donne, una storia coraggiosa, moderna, che cerca di scardinare i vecchi schemi culturali predominanti che hanno di fatto ingabbiato le protagoniste sin dalla nascita. Ci troviamo in Sardegna rurale a cavallo della Seconda Guerra Mondiale. Fidela, settima figlia di una prole di sole donne, viene marchiata di qualcosa che non le appartiene diventando la strega del villaggio: cura i malefici, fa nascere i figli di tutti tranne i suoi. Perché se c’è un ruolo che non le compete è quello di essere madre. Una condanna che non è stata decisa dal suo corpo, ma dalla società che le ruota attorno. Eppure l’obiettivo dell’autrice è chiaro: «Ci tenevo a voler restituire la mia terra d\'origine in una chiave diversa. Mostrare la resilienza e la forza delle donne e, allo stesso tempo, promuovere la bellezza della Sardegna».



Di questo film colpisce inoltre questa commistione di linguaggi nel raccontare la società del tempo.

«Esattamente. La nostra identità è legata una moltitudine di aspetti: le nostre insicurezze, inadeguatezze, i cambiamenti della vita quando diventiamo adulti. Non c\'è bisogno di essere attore per percepire il pregiudizio nello sguardo degli altri. Non c\'è bisogno di nascere in Sardegna negli anni cinquanta e sessanta per sentire quel peso addosso nel tempo. Per questo siamo partiti dal microcosmo di Fidela che è una situazione di una donna in gabbia per poi inserire pian piano quelle che sono le imprevedibilità della vita. Ovvero le famose sliding doors che riusciamo a cogliere solo se vogliamo davvero vederle. Altrimenti ci passano davanti e non tornano più».



Il personaggio che lei interpreta, Fidela, instaura un dialogo continuo con l\'ambiente.

«Per me ha un ruolo fondamentale. Sul set cercavo sempre di stabilire un contatto con la natura, e non solo in termini artistici. La Sardegna è di fatto un’isola benedetta per sentirsi un tutt’uno con l’universo, e i luoghi che abbiamo scelto sono tutti legati a una trasformazione simboleggiata dall\'acqua. Un elemento che si incunea ovunque e che non ha forma né colore nonostante abbia una potenza incredibile. Basti pensare al Pozzo di Santa Cristina, dove le donne allo zenith si immergevano per rimanere incinte attraverso la luce lunare. Un rito che fa capire quanto fosse importante la gravidanza e il parto nelle società agropastorali».




Il tema della maternità è centrale anche se viene vissuta in maniera diversa dalle protagoniste

«Marianna (Valentina Lodovini) in verità non ha mai cercato veramente la maternità. Da quando è piccola ha la consapevolezza di poter ricevere amore soltanto se soddisfa le aspettative della madre e di una società attraverso la gravidanza. E tutto ciò diventa un\'ossessione che le impedisce di crescere. Fidela invece ha un\'anima. Fidela evolve grazie all’amore che prova per la figlia adottiva Bastiana. Un sentimento autentico che la spinge a proteggerla come si vede nel film».



La fotografia non ruba l’anima, ma conserva tutto. Anche lei ha cercato di immortalare la Sardegna attraverso l’immagine?

«Sì. Il cinema in fondo ha lo stesso meccanismo. Il mio più grande dramma è vedere ragazzini omologati a una fotografia da social irraggiungibile. La terra delle donne mostra invece tutte le sfumature dell’epoca. Un modo per dimostrare quanto siamo meravigliose quanto siamo uniche e quanto sia assolutamente doveroso manifestare le nostre velleità e peculiarità. Per me era diventata un\'urgenza manifestare quanto una donna come Fidela, reietta e giudicata da tutti possa invece aver trovato la sua catarsi dopo essere fuggita da questi occhi appuntiti, diventando l\'emblema di quello che dobbiamo fare: ascoltarci e non nasconderci».



Riccardo Lo Re


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