Le origini di Arzachena, Porto Cervo e Monti di Mola in un documento del 1170
Risalgono agli albori dell’anno Mille le prime testimonianze di Arzachena. Sono due le pergamene, preziose testimoni di un’origine di straordinario valore storico per il territorio, a collocare i primi segni documentali dell’allora “Arseguèn” intorno al 1173 d.C. Un territorio che viene citato nella sua integrità, da “Loco di Mola” a Monte Povero, attuali denominazioni di Monti di Mola, il luogo dell’odierno Consorzio Costa Smeralda e la stessa località del Pevero. Testimonianze che sono state tra le protagoniste di una mostra di grande successo, andata in scena questa estate, fino ai primi di novembre, nella chiesa di San Pietro ad Arzachena: “La arcana origine del nome di Arzachena”. Un evento di grande valore storiografico ma anche di intrigante attualità, dove la storia di Arzachena è stata raccontata in un accattivante fluire di notizie, dalle origini fino al periodo giudicale, quando nel Medioevo era conosciuta come Curatoria di Unale. Ce lo racconta Mario Sotgiu, presidente dell’associazione culturale La Scatola del Tempo, che ha organizzato la mostra temporanea di grande successo. Partendo proprio da una scoperta sensazionale, che colloca l’origine documentale di Arzachena, con la citazione di Porto Cervo e Monti di Mola, i terreni da cui nacque poi il Consorzio Costa Smeralda, intorno al 1170.
Le prime tracce, infatti, sono state rinvenute dall’architetto Nicola Vasa di Tempio Pausania, il quale ha scoperto una carta che confermava quella successiva che registrava il toponimo di Arzachena, in cui si parlava di “Loco de Mola”, ovvero Monti di Mola, che mantenne quel nome fino all’arrivo del principe Karim. “Ritengo sia qualcosa di straordinario, visto che si pensava non ci fossero tracce documentali così antiche di Arzachena, finché l’architetto Vasa non ha rinvenuto una carta ancora precedente – spiega Sotgiu -.
Si rinviene quindi il nome di Monti di Mola, a conferma della presenza documentale precedente del territorio di Arzachena”. Porto Cervo si chiamava così anche nel lontano 1275, come confermato da una carta portolanica pisana, donata in copia dall’archeologa Sonia Pala, che ne aveva avuto notizia dopo il ritrovamento da parte di alcuni studiosi, e oggi conservata nell’archivio di Stato di Parigi. “Possiamo quindi considerare questi documenti le tracce più antiche di questo territorio” sottolinea Sotgiu. L’antica pergamena è stata esposta nella mostra di questa estate nella chiesa di San Pietro. “Nel 1698 il sindaco della Villa di Tempio Pausania chiedeva al viceré spagnolo la costruzione di torri di avvistamento in una località denominata Cal Vulpe, l’attuale Cala di Volpe – racconta ancora il presidente dell’associazione “La scatola del tempo” -. Si parlava poi di una località chiamata “Capo del Libano”, che sarebbe associabile all’attuale Li Nibani”. Ulteriori tracce documentali che testimoniano l’antica origine di Arzachena, con i nomi di Cala di Volpe, ma anche segni dell’attuale spiaggia del Pevero, indicata in una carta del 1793 con il nome di “Monte Povero”. Il 1173 rappresenta quindi l’anno nel quale compaiono i primi segni del territorio di Arzachena - che nel tempo avrebbe avuto ben sedici nomi notori nelle trascrizioni - con una traccia riferita al fatto che il vescovo di Civita, l’attuale Olbia, dichiarava di aver acquistato una serva in Loco di Mola, di cui aveva bisogno. La mostra “L’arcana origine del nome di Arzachena” ha svelato anche questi aspetti della storia di un territorio che è diventato simbolo di turismo di eccellenza a livello mondiale. “Le scoperte di questi archeologi e studiosi documentano che l’attuale Arzachena ha una origine molto antica, come testimoniato dalle carte - conclude Mario Sotgiu -. Siamo inizialmente riusciti a retrodatare i primi segni dell’esistenza di Arzachena al 1325, grazie all’antica pergamena di origine pisana scoperta in virtù del lavoro degli archeologi Durdica Bacciu e Marcello Cabriolu, col nome di Arsegùen. Ma i segni della sua esistenza oggi sono collocabili ancora prima nel tempo”.
Giandomenico Mele