L’invenzione del purgatorio: una scusa per restare vivi
A Seui, grazie a Giampaolo Desogus, nel contesto di Su Prugadori, la gioia porta a scanzonate locuzioni sugli inferi, ne nasce un’analisi sulla fraseologia connessa al mondo dei defunti e delle anime. Su Prugadoriu o de is Animas: si chiamano in molti modi le varie sagre che sanciscono la festa diffusa nelle zone di Sardegna, dal Logudoro al Campidano più in là fino alla Barbagia, le facce si tingono di nero e ogni area ha una propria ricorrenza delle anime che, forse copiandolo, di poco anticipa Halloween.
Lo storico dell’arte Giampaolo Desogus per oltre 15 anni è stato sindaco di Seui, ci spiega, a partire dalla radice etimologica, senso e antefatti di un appuntamento in bilico tra ricorrenza e culto. Nota come commemorazione dei defunti, quella in Sardegna di Su Prugadori, è una sorta di festa comandata che, grazie al fenomeno dello slittamento delle desinenze d’inizio trasforma da pur in pru, il terzo stato, quello del purgatorio.
Uno spunto alle riflessioni di Desogus parte da un’analisi, prima linguistica poi storica, sociale e culturale. La prima considerazione è stata agevolata dalla lexicografia, riportata nei dizionari e in altri manuali di linguistica e glottodidattica, partendo con il lemma “cimitero”, che deriva dal greco “koimeteri”, con il preciso significato di “dormitorio”. E lo spiega nel convegno del 31 ottobre nello spazio La fabbrica di Kimbe, con la direzione artistica di Salvatore Carboni e all’interno di un ricco programma di iniziative che vedono la collettiva di pittura Silba Docchio, film e interventi culturali a cura di Anna Cristina Serra, Tonino Oppes, Gianfranca Salis.
«In tempi recenti qui a Seui questa festa nasce come risposta a la sagra delle castagne o le cortes apertas o le varie domus che sono sostanzialmente esposizioni di prodotti. - spiega il professore figlio di un minatore di Seui che è stato anche il talentuoso disegnatore di animali, poi impegnato nella diaspora delle forze vive in Belgio - Un giorno un gruppo di lavoro a Seui cerca di inserirsi tra la ritualità della sepoltura spontanea degli animali e quella pensata, guidata nel cerimoniale che l’uomo mette in atto con il suo simile. L’invenzione del terzo stato, il purgatorio, è relativamente recente - continua il professor Giampaolo Desogus - e ha una serie di motivi di interesse, non ultimo quello di tipo economico, perché se coi morti possono interagire anche i vivi allora noi non solo non recidiamo un filo, ma godiamo di una proiezione di tipo psicologico sulla continuità della vita.»
Infatti istillare nel sopravvissuto l’idea che grazie alle preghiere il proprio caro possa soffrire meno nel periodo “pro tempore”, cioè limitato, del purgatorio è una consolazione che negli anni ha trovato forte impatto. Mentre a livello di iconografia nel purgatorio le anime sono investite dalle fiamme fino a metà corpo, a livello concreto, nella dimensione della pratica popolare, invocazioni come i Miserere, detti Su miserere, ascendono intere fazioni di parenti destinati agli inferi. Proprio queste invocazioni, tutt’altro che simboliche, poiché si diceva che ad ogni preghiera corrispondessero ben 7 anni di sconto pena, sono state registrate da Giampaolo Desogus 40 anni fa nella Casa della Magia di Seui. Per lo stesso motivo spesso si veniva chiamati al capezzale del defunto a tributargli preghiere salvifiche. Impressa nei gesti anche l’abitudine di preparare la “cena delle anime” che prevede il rituale di tavola e cibo imbanditi nella notte che precede Ognissanti. Una tradizione popolare che incide fortemente il quotidiano e che fa si che ogni qualvolta, inavvertitamente, si dispongano posti in più nell’allestimento di un tavolo conviviale, questi vengano lasciati a celebrazione degli avi scomparsi. Ed è l’anziano della casa ad esortare a non togliere i coperti eccedenti.
Allo stesso modo un tempo il compito di andare alla raccolta dei frutti della terra, era demandato ai bambini; un rito che ricorda il tormentone di Halloween “dolcetto o scherzetto”. Infatti i piccoli, con una sacca bianca della farina (per simboleggiare purezza innocenza e fertilità), andavano a raccogliere frutti della terra; poi venivano chiamati dai parenti che, premiandoli con fichi secchi, mandorle, nocciole e piccole monete si sdebitavano a nome del defunto. Mostrando nel mondo adulto il duplice scopo di tranquillizzare la coscienza e, contestualmente, quello di adempiere al proprio dovere di viventi, con il risultato finale di aver alleviato le pene delle anime purganti. «Lo stesso lemma del purgatorio implica, dal punto di vista etimologico ed inteso come sostantivo, un luogo dove ci si può “purgare, pulire, purificare”. Dal punto di vista cronologico e, alla luce dei riferimenti contenuti nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, molto spesso indecifrabili ai non addetti ai lavori, - dettaglia Desogus - il purgatorio dovrà attendere secoli prima di divenire adeguatamente mappato ed aggiunto agli altri due stadi, inferno e paradiso, già “digeriti” dall’uomo.»
Si spazia tra aspetti glottologici che indagano tra curiosità come: augurare un funerale mesto e povero, senza orpelli, la visitazione dei defunti nei nostri sogni e i suoi significanti, le tipologie di intervento dei morti con i viventi, le visionarie dei morti chiamate “is bidoras de mortus” e il vestiario del lutto, la nomenclatura e il significato nelle relazioni di parentela, l’ampio spettro di espressioni sarde sul destino e fato tra nascita e morte e le invocazioni improprie, spesso blasfeme, dei passati a miglior vita.
Insomma in un intervento che muove da principi e fattori comuni che, da secoli e nelle varie civiltà, hanno convinto l’esistenza umana a non rassegnarsi all’idea che la morte rappresentasse la fine di tutto, Giampaolo Desogus approda alle Necroglosse, dove consegna un nuovo commento su un antico culto: attraverso ossimori e perle linguistiche che rischiano di finire nell’oblio, fa emergere strati insondati di un bagaglio cui si accede per regolari approcci come uomini vivi, all’Aldidà.
Anna Maria Turra
Credits video Gabriele Doppiu
Credits photo Salvatore Carboni