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L’ultimo guardiano del faro
9 Agosto 2019

L’ultimo guardiano del faro


Fiumi di sogni, di inchiostro e di libri sono stati consumati sulla poesia dei fari. Come può non essere affascinante quella torre cilindrica che si erge come una regina sul mare. E quel potente fascio di luce che buca il buio della notte per guidare i naviganti attraverso le onde. A volte nella tempesta. Messi lì nei luoghi più suggestivi e impervi delle coste, a scandire l’inizio e la fine della notte. Abitati da personaggi straordinari che ne curano amorevolmente il funzionamento. Come l’ultimo guardiano del faro di Capo Ferro a Porto Cervo, Cosimo Benefico, che dal 1993 abita e lavora in questa struttura.



L\'inconfondibile torre bianca che sovrasta l\'edificio adibito ad alloggi è stata costruita nel 1858 su un costone roccioso, a 52 metri di altezza sul mare.



Dalla sua entrata in funzione nel 1861, garantisce la sicurezza dell’ingresso e di uscita delle bocche di Bonifacio illuminando il tratto marittimo che si estende da punta Sardegna e arriva fino a Capo Figari, ma è anche un faro per gli aerei. «Provengo dalla capitale della Marina italiana, Taranto, e lì lavoravo sempre per il Ministero della Difesa - racconta Cosimo Benefico -. Poi è uscito un bando interno per faristi e ho aderito. Così, dopo un corso a La Spezia, tra le varie opzioni scelsi Capo Ferro. Arrivai qui con mia moglie e la nostra bambina nel 1993. Fu un bell\'impatto e quando calava la sera vedevi solo la luce del faro e dell\'ottica rotante che girava, ma al mattino quando ti svegliavi e ti affacciavi la vista ti ripagava della sensazione di solitudine della notte. Dopo tre anni potevo scegliere di confermare o di ritornare al precedente incarico a Taranto. Decisi di rimanere».



L’avventura di Cosimo come farista comincia così e prosegue ancora oggi dopo ventisei anni di servizio. Fino al 2012 in compagnia dell’altro storico guardiano, Gianfranco Cuccureddu, andato poi in pensione e scomparso da qualche anno. «Abbiamo vissuto con Gianfranco e la sua famiglia per vent\'anni, eravamo come fratelli - prosegue Benefico -. Ora sono rimasto da solo. Io sono l\'ultimo e una volta che andrò in pensione non credo che verrò rimpiazzato. Ma il faro continuerà a vivere perché è essenziale. Anche se le tecnologie hanno fatto passi da gigante ed esistono i gps, i fari e i segnalatori marittimi rimarranno sempre la prova visiva, cioè quello che l\'uomo vede con i propri occhi». Un mestiere in via di estinzione dunque, che sempre di più verrà sostituito da controlli automatizzati e a distanza.



Oggi il comando zona fari per la Sardegna è situato a La Maddalena e controlla undici reggenze, di queste solo cinque sono presidiate dai faristi, negli altri gli operatori intervengono nel momento del bisogno. La luce del faro di Capo Ferro è unica al mondo, così come quella di ogni faro. A rendere peculiare ogni luce sono i tempi che intercorrono da un fascio luminoso all\'altro intervallate dal buio.



Sono tante le storie che Cosimo ripercorre, ma una gli è rimasta salda nella mente: «Era una notte dell\'agosto del 1996, il mare era piatto e non c\'era vento – racconta -. All\'improvviso sentii un frastuono, pensammo a un fulmine, ma quando uscii mi resi conto che una grossa imbarcazione da diporto era finita in piena velocità sugli scogli sull\'Isola delle Bisce, qui di fronte. Presi un gommone e quando arrivai sul luogo dell\'incidente sentii le persone piangere. Mi resi conto che la situazione era grave e subito dopo arrivarono i soccorsi che portarono tutti i feriti in ospedale. Furono momenti drammatici».



Il faro è situato in zona militare e dunque inaccessibile se non con specifica autorizzazione della Marina Militare, ma la sua bellezza continua ad ammaliare i turisti anche dall\'esterno. «Quando andrò in pensione - conclude Cosimo Benefico - mi piacerebbe prendere un camper e girare per l\'Europa. Anche se quando vado via da qui, dopo qualche giorno inizio a sentire la mancanza di questo meraviglioso panorama ed è lì che mi rendo conto di quanto mi mancherà il faro quando lo dovrò lasciare».


Davide Mosca

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