Michela Calabrese, alla ricerca di sonorità profonde
Dai gruppi di musicisti di strada, a festival e concerti, al jazz e al blues, al Blue Note, all’esperienza con Fabrizio De André Michela Calabrese è una flautista da sempre alla ricerca di sonorità profonde. Una vita fatta da incontri straordinari, volontà e sensibilità che fanno diventare l’impossibile, possibile. Una vita nella quale il sogno diventa realtà, dove la magia di quel che accade diventa un destino dove ci si ritrova per essere, per donare agli altri e a se stessi ciò che era nascosto.
Il sogno era quello di partire, sulle ali della fantasia spirituale alimentata dalle letture di Carlos Castaneda, con la musica dei Led Zeppelin nel cuore e la sua chitarra, per il sud America per andare a guardar fuori, ritrovarsi “dentro” e riprendere se stessa.
La biografia
Michela Calabrese, 57 anni, padre siciliano e madre sarda, nasce in Sicilia e arrivata giovanissima in Sardegna con la famiglia, decide di partire, subito dopo il diploma per il continente sudamericano, per un viaggio lungo un anno. Un viaggio iniziatico nel quale incontri, esperienze, luoghi, suoni e natura aprono quel vaso di Pandora che era dentro di lei. «Ho scoperto che il mondo era immenso – racconta – fatto di tante bolle e che la nostra realtà era solo una minima parte di ciò che esiste».
Torna dalla sua esperienza sudamericana, carica di energie, «Quell’energia era così tanta che preoccupava chi mi stava attorno…ero ossessionata dalla necessità di canalizzarla, di trovare la mia strada».
La tappa romana
E la strada di Michela è proprio “la strada”. Arriva a Roma negli anni ’80 e trova una città piena di gente, di artisti di strada, dove musica e vita si intrecciano in ogni luogo. Si unisce a due amici artisti - uno dei quali, Angelo Blu, sarà per sette anni il suo compagno - e suona, suona, suona. «Suonavamo ovunque, tutto il giorno e tutta la notte fino all’alba, nelle piazze, nelle strade, a casa, una casa piena di artisti che arrivavano da tutto il mondo».
Non è la chitarra, che suona fino ad allora, a essere il suo amore; il colpo di fulmine arriva quando un’amica brasiliana le chiede di tenere qualche giorno il suo flauto. Michela lo prova, lo suona senza averlo mai suonato prima ed è immediatamente amore. Suona, studia, si isola, stabilisce legami profondi con musicisti che condivideranno con lei il lungo viaggio nel blues e nel jazz.
La fase di studio in Sardegna
Il ritorno in Sardegna è d’obbligo; Michela, fino ad allora autodidatta, sente il bisogno di studiare e imparare a leggere la musica. Il suo ritorno sull’isola non è solo studio al conservatorio, dove incontra un grande maestro, Salvatore Saddi (ottavino e flautista nell’orchestra del Teatro lirico di Cagliari), “creatore” di grandi musicisti che l’accompagnerà e la sosterrà per tutta la sua carriera, ma è anche “strada” dove con Angelo Blu, con la sua armonica blues e Marcello Calabrese, suo fratello chitarrista, danno vita ai primi “concerti elettrici” per le vie della città.
Inizia a suonare con vari gruppi di cui fa parte: i W.A. Team, un sestetto di jazz flauto, chitarra, due voci e percussioni, When the Buddha Smile con cui partecipa a diversi eventi jazz in giro per l’Italia; suona a Parigi al Babilo e al Cafè Universel, a New York dove trascorre due mesi e mezzo, immersa nei luoghi del jazz, si esibisce al Williamsburg Music Center gestito da Archie Shepp e Gerry Eastman; suona con gruppi, spesso tutti al femminile; con uno di questi partecipa, come flautista, a Tre suites, “tre quadri in musica” dedicati a tre artiste, Frida Kahlo, Artemisia Gentileschi, Louise Bourgeois. Il suo viaggio di street art performer la porta a Umbria Jazz, partecipa a Iseo Jazz e al Lucca jazz Donna, collabora con Franco Cerri al progetto Racconti di Natale, un omaggio a Dino Buzzati.
L\'amicizia di Michela Calabrese con Cristiano De André
Ad ascoltarla, in uno dei suoi concerti c’è Cristiano De André: un incontro di anime il loro: «Sei incredibile, mi dice Cristiano, io ti voglio», racconta Michela. E dopo qualche mese arriva, nel cuore della notte, una telefonata e l’impossibile diventa possibile: Fabrizio De André sta registrando a Milano Anime Salve e Cristiano vuole lei, Michela, per alcuni pezzi arrangiati da lui. In studio è magia. Fabrizio canta, Michela improvvisa. «Buona la prima» dice Fabrizio, lasciando tutti basiti e così nasce Le acciughe fanno il pallone.
«Cristiano è stato il mio angelo custode – racconta Michela – un personaggio chiave. È lui che mi ha ”riconosciuto” e mi ha inserito nel cast stellare di artisti di quel disco. Ha avuto un garbo e un amore incredibili. Mi ha detto, non preoccuparti, suona come sai fare tu, con il cuore: e così è stato». Da quell’esperienza nasce un rapporto profondo sia con Cristiano sia con Fabrizio con cui suona in uno dei suoi ultimi concerti a Cagliari.
Sul palco del Blu Note
Michela è sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, di modi e forme diverse della sua musica. Torna a Milano, inizia a suonare per strada e è di nuovo magia. Una sera, mentre in una Paolo Sarpi deserta suona l’ultimo pezzo «lo suonavo per me, visto che non c’era nessuno in giro» passa un uomo, si ferma, l’ascolta, gira un video col telefonino. Poche ore dopo è sul palco del Blue Note alla fine del concerto di Arturo Sandoval e con lui e il suo gruppo («dei mostri sacri», dice) chiude un pezzo, ne rilancia un altro suonando per una standing ovation che fa venire i brividi.
Strada e musica, il racconto di Michela Calabrese
Strada e palco, palco e strada. «La strada è totalmente libera – racconta Michela – Sei dentro la tua musica. Sono poi le persone che passano che colgono o non colgono. Nella strada tutto succede per caso e si creano magie straordinarie con le persone; lì ho costruito amicizie incredibili, avuto emozioni profonde. In teatro, su un palco, a un concreto invece la gente ti sceglie prima, decide di pagare per ascoltarti. È diverso, molto diverso. È la casualità dell’incontro che crea quell’atmosfera quando suoni per strada e la gente si ferma. Ho cominciato a pensare che la mia musica poteva curare le loro ansie, le loro preoccupazione, le loro paure. A quel punto ti accorgi che le persone quasi non si trattengono a darti dei soldi, è un modo per restituirti quello che gli arriva attraverso la tua musica».
Anche in tempo di Covid Michela Calabrese non si ferma. Dalla sua casa in Sardegna dove ha le sue radici e il suo spazio, lavora, studia con il suo maestro, Salvatore Saddi «che non mi molla mai finché non tiro fuori quello che ho dentro» e sperimenta nuovi suoni, nuova musica per fare “il salto post Covid”.
Determinata e composita Michela lascia che sia la sua opera ad accendere il futuro con virtuosismi, imprevedibili come certi incontri.
Anna Maria Turra