Mirto – il velo della Dea Venere
Litore siccabat rorantes nuda capillos: Viderunt Satyri, turba proterva, deam.Sensit, et opposita texit sua corpora myrto.(Ovidio, I Fasti, Libro IV, 141-143)
Gli impudenti Satiri videro la Dea Venere, mentre stava sul lido asciugandosi le stillanti chiome.
La Dea se ne avvide, e si nascose sotto il mirto.
Difficile non riconoscere il suo aspetto. In Sardegna il frutto del mirto è del resto la base di uno dei liquori più conosciuti della regione. Ma non tutti sanno che questa pianta si porta dietro di sé diverse storie che partono sin dall’antica Grecia.
Una delle prime deriva proprio dall’etimologia del termine myrtos, essendo questa parola riconducibile alla vita e alle gesta di una giovane donna, Myrsìne. Secondo quanto narra la leggenda, questa figura era particolarmente forte e atletica, a tal punto da essere riuscita a battere un suo coetaneo maschile in una competizione sportiva. Non accettando questo affronto, l’uomo uccise la rivale che fu in seguito trasformata dalla Dea della guerra Atena in un albero, il mirto.
Con il periodo romano la mitologia cambia, come si legge nella testimonianza di Ovidio ne I Fasti. Il poema, di cui sono rimasti solo sei libri, cerca di individuare tutta una serie di riti e di tradizioni che accompagnano i cittadini romani nella loro quotidianità. Il mirto da questo punto di vista è centrale in un mese specifico, aprile. Considerato il periodo della rinascita, secondo le usanze questa pianta veniva riconosciuta come simbolo di amore e fecondità, e non solo per la sua bellezza e i suoi fiori candidi che sbocciano con l’arrivo della primavera.
Il mirto ha avuto in passato un ruolo cruciale per la Dea Venere, al centro di due diversi dipinti di Botticelli, La nascita di Venere e la Primavera. Nel primo, ad esempio, la scena ritrae la divinità fluttuante su una conchiglia, essendo nata proprio dalle spume del mare di Nettuno. In parte a lei l’attende una delle Ore con in mano un lungo manto roseo raffigurante dei fiori, tra cui proprio il mirto. Secondo la leggenda narrata da Ovidio, subito dopo la sua origine sul mare si trovò di fronte ai Satiri che, senza pudore, osservarono il suo corpo nudo. La Dea per proteggersi dai loro sguardi, si rifugiò dietro a un arbusto di un mirto, che in quell’occasione divenne lo scudo contro i vizi e i difetti che appartengono alla natura umana.
L’immaginario descritto da Ovidio influenzò parecchio gli usi e i costumi dei romani, che durante la Veneralia, un rito che si teneva nei templi il primo di aprile, andavano a onorare la purezza e lo splendore di Venere.
La donna, presentandosi davanti alla statua della divinità, dopo aver rimosso e lavato le decorazioni della scultura, reinseriva gli ornamenti accompagnati da dei fiori. Il cerimoniale si concludeva nel momento in cui si recavano nei bagni pubblici maschili immergendo il proprio corpo rivestito da dei rami di mirto, proprio per ricordare il racconto ben descritto dall’autore delle Metamorfosi.
La straordinaria eleganza e purezza del mirto si riscontra nella sua doppia virtù. Se, come scritto in precedenza, è il fiore a emergere con tutta la sua energia durante la primavera, è con la raccolta del frutto durante l’autunno e l’inverno che la Sardegna è riuscita a ricavare un liquore eccezionale. Per ottenerlo, è necessario seguire alcune procedure. Dopo aver lavato e tolto ogni tipo di impurità alle bacche, si effettua la macerazione inserendole in un contenitore insieme a dell’alcool etilico a 95° per 40 giorni. Scaduto il termine, si cercherà poi di separare il distillato dal frutto, che potrà essere nuovamente spremuto in modo da ricevere maggiore liquido. L’ultimo passo è la creazione dello sciroppo, scaldando acqua e zucchero e lasciandolo totalmente raffreddare. Dopo aver imbottigliato il tutto, si dovrà infine attendere la maturazione del mirto, che sarà pronto a essere servito a tavola. Una volta assaggiato, sarà davvero complicato dimenticarsi di quella musa dai capelli rossi, dolce tanto quanto questo liquore.
Riccardo Lo Re