Nate sotto una cattiva luna, il nuovo romanzo di Salvatore Niffoi
L’ultimo libro di Salvatore Niffoi, Nate sotto una cattiva luna, rimanda ai nostri giochi migliori, alla creazione dei nostri progetti più assurdi o, volendolo ammettere, alla visione chiarissima dei nostri sogni più segreti.
Non serve spiegare la fama dello scrittore, nato nella provincia di Nuoro, in grado di travolgere milioni di lettori con storie irriverenti, potenti al punto che finzione o realtà si fondono in ambienti che rimandano al mondo sardo; basterà ascoltarlo argomentare di Bodoloi, paese inventato, per finire dritti in uno dei misteri che quella dimensione della sua scrittura riesce ancora una volta a replicare, alcuni la chiamano narrativa altri, più precisamente, letteratura.
In questo suo ventiduesimo libro pubblicato dalla Nave di Teseo, Salvatore Niffoi, classe 1950, ribadisce che c’è una Sardegna arcaica e fratricida, esisterà anche la Barbagia che il primo e il secondo dopoguerra ha scolpito come una statua reale e immutabile, ma quel che resta, impetuoso e visibile, è il culto dell’autore nell’analizzare in maniera universale l’io; che detta così sembra poco, ma è qualcosa di infinitamente complesso, non definibile. Le sue “metafore in vendita”, le sue “vedove scalze”, tutto nei suoi libri precedenti, sono un espediente riposto con cura tra le pagine di vicende possibili, scuse belle e buone per lo scrittore icona della letteratura italiana, per sondare l’uomo nelle sue crepe e nelle sue possibilità. Qui viene presa d’assalto la vendetta, come base d’appoggio dell’intera architettura del romanzo, parole e, ancor più, linguaggi si stratificano in una costruzione metaforica che riveste la storia e la sorregge. Allo stesso modo diventa strumento anche la terra rigogliosa di un’isola che assiste allo scempio di sé e fa da sfondo a quello di Basilia, personaggio chiave del libro. Sembra davvero un tatuaggio sul corpo e nella carne delle donne questo romanzo dell’abuso e della vendetta, della libertà e della predestinazione. Ma anche svolgimento di quel che resta ancora da scrivere di un popolo millenario la cui destinazione è un mistero commovente. Esattamente come il posto da cui proviene l’esercito di figure, la moltitudine di profili di cui si compone, tra assassini o pionieri del volo, contadini e personaggi borderline che danzano selvaggi accanto a donne sorprendentemente in grado non tanto di dimenticare quanto di non ricordare.
Qualcosa di tremendo viene affidato nel libro alla scrittura, il frutto di una violenza posato in un gioco di pagine come da sfogliare involontariamente. E’ tutto quello scempio lasciato accadere che di fatto si mette rumorosamente in scena. Poi il buio di uno stupro a dar senso alla storia e cala il silenzio: “ il suo corpo: lo strazio le si avvitò nella mente e nell\'anima. Al punto tale da tenere un diario.”
Sotto la luna i monti della Barbagia nascondono i risvolti di un’umanità scatenata, le leggi della natura implacabili avvertono di una singolare attitudine: esiste sovrana una legge degli esseri umani e somiglia così tanto a coloro che la fanno.
Le messi si riversano abbondanti scandite in intervalli di lunghissimi inverni che sedimentano nel silenzio vendetta e quotidianità. Nella stessa misura.
Sarà Basilia Pistichinzu, “una femmina abituata a fare tante cose in una sola volta”, sposa di Venanziu Serathula a unire l’asfodelo in una geometria di vicende serrate. Una volta violato il segreto, lo scrittore accende il furore di una tempesta perfetta tra rocce assolate e vigneti, intrecciando suggestioni di maschi alfa e femmine capaci di dirottare la sorte. Mentre le feste in piazza si rincorrono, le sei sorelle Serathula vanno incontro al mistero di una madre raccogliendo eredità e imperativi, tra matti e testamenti.
Eppure un’ipotesi più solida della teoria della vendetta è quella del gioco. Nel sotto testo della linea narrativa ancora una volta si scopre una roulette russa di colpi di scena, che sparata a salve sul genere umano e lo dettaglia raccontandolo di un’epica a lieto fine in grado di scansare la morte. Come questo nuovo approdo a La Nave di Teseo che vara la recente avventura di un autore molto amato e molto letto e non solo sull’Isola. Ritorna rimbalzando l’elemento chiave del gioco, declinato con freschezza e inedito calore ogni volta in ogni nuovo capitolo. Così nel suo procedere a mettere al mondo nuove storie Salvatore Niffoi, che di editori ne ha frequentati parecchi, tra Adelphi, Giunti, La Biblioteca della Nuova Sardegna, Edizioni Solinas e Il Maestrale questa volta salpa con la casa editrice diretta da Elisabetta Sgarbi. «Con lei siamo molto amici, questa volta non ho potuto sottrarmi.»
Perché è nel termine “indipendente”, che nell’editoria come nell’arte accende futuri, il maestro delle parole Niffoi, che a lungo ci ha abituato alla portata precisa di ogni singola sillaba, svela la sua personalità in una letteratura arrembante. Tanto simile al racconto di vita dello scrittore di Orani dal passato indomito e rivoluzionario, pronto a dribblare rischi ed equivoci di una Barbagia scossa negli anni 70 dai sequestri, fiero e agguerrito arriva ai nostri giorni col retaggio di una giovinezza giocata pericolosamente in bilico sull’illegalità.
Con la struttura e i dettagli che potrebbero sostenere un’intera serie di quegli odierni artifici cui ci ha addomesticato Netflix, scorrono sontuosi certi maledetti agosti, le vite spirano, i neonati impresentabili che “rovinano la razza”, insomma tutto nella trama tumultuosa diventa vezzo, scelta di stile, decoro.
Anna Maria Turra