Oggetti smarriti di Giorgio Maimone e Luca Pollini
Cabine telefoniche scomparse come le cinghie elastiche che tenevano insieme i libri di scuola, sparite come le cartine geografiche, i vespasiani e il termometro a mercurio, le prime autoradio e i loro furti che mandavano i deflettori delle vecchie auto in mille pezzi, spariti anche i deflettori triangolari: piccole vele di vetro che ruotavano su di un perno. Interi segmenti di vita se ne volano via come fogli di una carta a carbone in grado di duplicare una traccia scura nei solchi di un passato remoto.
«Osserviamo l’evanescenza degli oggetti, il momento in cui iniziano a entrare in quel viale del tramonto che li spingerà a sparire, senza che ce ne accorgiamo. Alcuni hanno segnato intere generazioni, altri sono passati come una nuvola sospinta dal vento.»
Parla Giorgio Maimone che, con Luca Pollini, scrive Oggetti smarriti, piccolo catalogo delle cose perdute, degli oggetti finiti nel buco nero della memoria o di quelli che sono o sembravano avviati in quella direzione. Insieme definiscono un inventario delle cose scomparse quasi come se Gino Paoli non ci avesse già fatto sopra una canzone. Tecnicamente questi oggetti meritano l’attenzione che stiamo loro via via sottraendo? Perché se sono stati relegati in soffitte o cantine al prossimo giro è quasi certamente discarica.
Ma a buttare si fa sempre in tempo ed ecco che intervengono resistenze e paure più o meno dichiarate: se non riesci a staccarti dalle cose hai paura dell’abbandono, se invece te ne liberi con eccessiva disinvoltura, non dai peso alle relazioni. Il fatto che tu abbia bisogno di spazio o di cambiare l’ordine degli arredi dimostrerebbe una volontà di rinnovamento o che, all’interno della tua vita di coppia, le cose non funzionano più. Se non ti fai largo, impili cataste di giornali o di libri a terra, la tua affettività potrebbe subire una battuta d’arresto e risultare bloccata. Questo per la psicologia da manuale ma va precisato che il giovane Freud sottovalutava, o meglio, ancora non sapeva, quanto poco spazio avrebbero avuto a disposizione i posteri. Un box nel centro di una qualunque città costa come un monolocale nelle immediate periferie e lui certo non poteva sospettare che a complicarci l’esistenza sarebbe arrivato, a meno di 100 anni dalla sua morte, il feng shui. Alcuni credono sia un signore severo, mentre è un’antica arte geomantica taoista, la pratica orientale che, dalla Cina, non ci permette di lasciare cose all’ingresso delle nostre abitazioni, pare che otturino interi flussi d’energia, ma neanche sotto il letto. Nel ripostiglio? Non provare neanche a pensarci e allora vorrei capire dove le devo mettere.
Lo sa Luca Pollini che aveva già scritto Immortali, storia e gloria di oggetti leggendari dove, con la prefazione di Tommaso Labranca, autore per intenderci di programmi televisivi come Anima mia e di un volume in cui dà del coatto a Andy Wahrol, già ci spiegava come il lustro di determinate cose sopravviva ai migliori attacchi di panico, del tempo e delle pattumiere.
Nelle strepitose fotografie di Barbara Lei, si stagliano imperturbabili i barattoli di Nutella e di Nivea che, spalmati tra gli inconsci passati e presenti, resistono in una luce di ribalta che neanche la memoria più alla deriva potrà mai spegnere.160 pagine per un prezzo di copertina di euro 20 che Morellini editore lancia molto prima del caso editoriale che intende suggerire di abbracciare le cose che proprio non riusciamo a tenere in ordine, cercando di percepire se queste stesse cose, che hanno avuto spazio e senso nella nostra vita, ora mandano vibrazioni buone o cattive. Poi l’autrice giapponese aggiunge l’imperativo di provare gratitudine a prescindere dalla qualità percepita delle vibrazioni; questo magicamente avrà il potere di farci scegliere cosa buttare e cosa no. “Salutare” è l’ultimo atto consigliato prima della separazione ma l’idea non è poi così innovativa, l’aveva già avuta Cecchetto.
E a buttare si fa sempre in tempo.
Figlio dei fiori dall’infanzia infestata dai gladioli, Giorgio Maimone, giornalista e autore televisivo con la statura stilistica che radio e teatro sanno conferire, in quest’opera edita da Morellini, Oggetti Smarriti, ci racconta tra le altre la perdita di conoscenza del significato che si attribuiva ai gladioli, quando negli anni Sessanta venivano esposti persino nelle macellerie e tutti conoscevano il messaggio in codice che ogni omaggio floreale celava: anemone dice “mi manchi da morire, torna”, mentre l’erica rosa-lilla dichiara la propria solitudine, il girasole è l’allegria mentre il giacinto il gioco. E Giorgio Maimone con la classe sontuosa e assertiva del giallista, tra gli oggetti che tallonano la vita di ciascuno ci mette i fiori. Proprio come gli hippy suggerivano di ficcarli direttamente nei vostri cannoni.
Poi in un’astrazione finissima accosta la scomparsa dei cinema sulla strada a quella del muto nel film muto, ci spinge in dissolvenze sempre più acrobatiche fiondandoci nel bel mezzo di un fine secolo in cui si affidavano le notti a Blockbuster, la famosa catena di noleggio di videocassette e cd che ci ha abbandonato nel giro di poco meno di un trentennio e, sempre con addosso la settima arte, ci mette al sicuro, dentro la multisala.
Lambrette, foto stampate, CD o giradischi, fustino o gettone telefonico sono briciole sulla strada, Pollini e Maimone si aggirano nei magici spazi della Triennale in una vivace Bookcity di una fradicia Milano, spiegano che si può cogliere quel pezzo che sta tra atomo e attimo perché è fatto di cose che trascinano simboli di costume, lambiscono design e studi sociali, sono parte di tutto quel che ci ha portato esattamente dove siamo.
Parlano chiaro il Tamagotchi oppure il topless, durati appena una stagione, come alcuni prodotti pensati per resistere che invece sono stati superati dalla tecnologia come il fax. Ci sono oggetti ancor più longevi come il CD, inventato per essere eterno e in grado di sostituire il vinile. Nell’arco di una generazione il CD è scomparso e il vinile è tornato mentre i giochi di società, ripassando dal via, non conoscono declino.
Perché non è solo come è cambiata la città in cui giriamo, quel che manca insieme agli oggetti è qualcosa che ha a che vedere coi nostri disordini, con le domande come parabole che contengono tutto, contraddizioni e risposte. Mentre un mondo sempre identico gira su se stesso e in tondo come un disco nero lucido, il total black delle nostre velleità incerte.
Il fruscio degli errori è l’anticipo di dinamite posta con precisione millimetrica sotto i banchi di scuola secondo Luca Pollini. Con l’incedere dello studente, ma più colto, si aggira per i luoghi del sapere a presentare i suoi libri che in sostanza parlano sempre della stessa cosa: la sua personalissima paranoia per un passato che solo a prima vista perde frammenti, quella sorta di utopia sempre sul punto di esser raggiunta di cui i veri esperti continuano a restare quei ragazzi, tatuati o meno, che si interrogano. Domande soavi ma raschianti sotto la puntina fragile di certi lettori, per libri come Restare in Vietnam, sulla scelta di fermarsi di un veterano, o come Gianni Sassi il provocatore, che staglia la vita di uno dei più significativi direttori artistici italiani, l’anticonformista sempre out and over, che ha fatto la storia della Cramps Records. In una narrazione come di fiaba fredda Luca Pollini smarrisce suggerendo - “Perdiamo oggetti e persone ma non per sempre e mai del tutto” - infine forza a un disorientamento totale, temperato dall’evoluzione della specie dove resta solo ciò che serve o che continua ad essere usato.
Il che può valere sia per l’arte che per le nostre abitudini e, a saperlo, dischiude un nuovo Woodstock, davvero agli esordi.
Anna Maria Turra