Padre Bonifacio, il prete partigiano e pittore
Questa figura raccontata dall’allievo Salvatore Puggioni, pittore e maestro d’arte, si arricchisce di una miriade di dettagli, emerge così il mistico capace di vivere l’insegnamento delle tecniche pittoriche come la sinergia di un sistema valoriale. Nel corso delle numerose collaborazioni Salvatore Puggioni conosce a fondo l’uomo di fede che, nato col nome di Lorenzo Salice, diventa Bonifacio nell’ordine di san Benedetto, morendo a 88 anni a Borutta nella provincia di Sassari. Dalla Val Sabbia di Brescia, dove nasce nel 1916, all’eremo Benedettino di San Pietro di Sorres, la sua vita ha una traiettoria che lo sposta dall’Accademia delle belle arti di Bologna a Parma e poi ancora a Bologna, approderà finalmente in Sardegna nel 1958. Sconosciuto il motivo per cui viene confinato nel monastero annesso a un’incredibile basilica, opera monumentale del 1116. E, sebbene si sospetti che la causa sia la sua militanza a favore dei partigiani contro il regime nazifascista, sostenuto dall’autorità ecclesiale, con decreto ministeriale, nel 1960 viene nominato Ispettore Onorario per la conservazione dei monumenti e degli oggetti di antichità e d’arte per la provincia di Sassari.
Accanto all’entusiasmante architettura della cattedrale romanica, al cui esterno prevale il bianco della pietra calcarea e all’interno il nero della trachite, il ragazzo che a 11 anni è entrato in seminario, diventa un maestro d’arte che dispensa sapienza. Il suo è un carisma quieto ma totalizzante. Ben presto Salvatore Puggioni diventa “il ” collaboratore, creeranno opere a quattro mani che oggi sono parte integrante di quella produzione artistica conservata nella chiesa parrocchiale di San Salvatore di Orgosolo. Famose anche le collaborazioni del padre col prete allievo Corrias: nel dipinto della martire vissuta ad Orgosolo, la beata Antonia Mesina, molto si individua della cifra di Bonifacio. Anche quest’opera, realizzata a San Pietro di Sorres, verrà custodita nell’isola e, mentre gran parte della sua edificazione pittorica resta a Brescia, la paternità di questa corrente artistica viene orgogliosamente rivendicata in terra di Sardegna; è caposaldo di una scuola di pensiero che vede, come Puggioni e le sue figlie, Sara e Stefania, un gran numero di adepti tra i contemporanei.
«Quello di padre Bonifacio è stato un rifarsi alla bellezza del creato con lo sguardo illuminato. - dice Salvatore Puggioni - È un modo di procedere, quasi di progredire che non si ferma allo studio della pennelleggiatura dei pigmenti di colore. Ma è ricerca dei grandi prima di lui. Mi invitò a dipingere una marina in una giornata di Maestrale, incoraggiandomi ad agire sul gesto come un violinista, poi intervenne col bianco dando luogo a una tempesta perfetta».
Nel 1998, Salvatore Puggioni, organizzando la mostra a Olbia dedicata al pittore, non sa come rapportarsi all’autorità ecclesiale dato che per motivi di età, e rigore monastico, il padre non intende parteciparvi. Ma lo tranquillizza dicendogli: «Normale, tu devi essere naturale e, soprattutto, libero». Puggioni allora replica: «Dice bene Lei, che si trova in un sacrario preservato dalle intemperie…» e il monaco gli risponde risoluto: «Da qui piovono le grazie!»
Numerosi sono i ricordi del Puggioni artista, ma ancor di più sono quelli dell’uomo: «Io sono il laico, tutta quella parte della verità della chiesa non attiene certo a me. - precisa Salvatore Puggioni - Come quella volta che nel regalargli un nuovo orologio, commentò: “vorrà dire che d’ora in poi sarò sempre in orario”, consegnando, com’era solito fare, ogni velleità a una dimensione terrena».
Poi racconta di quando un committente ordina il dipinto di sant’Agnese e, per iniziare le procedure di pittura a quattro mani, dopo aver preso le misure, taglia la tela di circa 3 metri per 2; è un ingombro notevole che poi viene appoggiato sul pavimento e esige un primo tratteggio a carboncino: «Padre - dice Puggioni - non vorrà che mi metta in ginocchio?» e lui prontamente replica «…e cosa spetti a metterlo sul muro?»
Adiacente agli impressionisti francesi, questo frate, sebbene austero, agiva nell’umiltà non tanto per la regola di quell’ordine che pone le basi allo sviluppo del monachesimo occidentale, quanto per una sua precisa inclinazione di forma, che quasi sembrava trascendere la propria vocazione.
«Quando mi sentì parlare con delle turiste tedesche, si complimentò dichiarandosi felice d’avere un amico poliglotta - racconta divertito Puggioni - ma poi io ascoltai lui interloquire in quel suo tedesco perfetto, con la solidità di chi ricalca i casi del latino, stretto, allacciato alla logica, aveva costruito un eloquio di candore e accoglienza. Il tutto in una lingua a me sconosciuta, ma anche se quel punto io avrei voluto scomparire con il mio inglese da tre soldi, lui era riuscito, ancora una volta, a inventare una lode». Ma si scherniva: «Cosa vuoi che sia conoscere appena di latino o di greco, Salvatore?»
Le sue opere sono un canto che sgorga dallo spirito, il canticismo è una corrente pittorica da lui stesso fondata a partire dal Cantico delle Creature, un salmo guida su ciò che si rappresenta del mondo e su quella precisa postura esistenziale; muove da lunghi scambi con Salvatore Puggioni quel nuovo “ismo” di Bonifacio che costituirà la base del 2000; parte dalle numerose riflessioni sulla tecnica pittorica che si imprime come andamento di un canto dei sentimenti, proprio a cascata da quelle loro conversazioni su Umberto Lilloni, pittore del “chiarismo”, verrà scelto un termine in grado di far risplendere ordine e luce della Natura.
Per il religioso colto e poetico pregare e lavorare avveniva nella cappella segreta della più antica fondazione benedettina.
«La sua opera era profondamente diversa nella provincia di Brescia, - spiega Puggioni - dalla Sardegna viene ispirato dalle marine cui si rifanno molti tra gli autori internazionali».
Di sé diceva. «Il mio vuole essere un piccolo contributo alla visione meta-fisica delle cose anche più umili e semplici» esprimendo, più che una visione panteistica della realtà, l’attenzione per tutte le cose concepite nel loro rapporto con il Creatore.
Visione meta-fisica molto vicina a quello che, a sua volta, fu maestro di padre Bonifacio, Giorgio Morandi, che molto ha inciso nel movimento pittorico del Novecento; sua è l’idea che anche nelle piccole cose esista la mano di Dio e, senza essere filosofo, chiarisce la convinzione che il tocco divino sia artefice di vita anche negli esseri inanimati.
«Tuttavia l’Essere non può non essere, perché la mano di Dio lo sostiene». Ne era convinto padre Bonifacio, l’uomo che a tratti pare sorpreso dalla nostalgia per il suo luogo natale, a tratti libero di raccogliere discepoli in molte parti del mondo. Così, come in una staffetta, o meglio, in un’investitura, regala la spatola che gli è stata a sua volta donata dal grande Morandi al giovane Salvatore Puggioni.
Ora et labora nel canticismo forse si traduce con impara e trasmetti.
Anna Maria Turra