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30 Luglio 2019

Per virtù d’erbe e d’incanti


Nelle leggende, nei miti e negli archetipi delle piante si cela un codice di simboli che si perde nella notte dei tempi. Facendone tesoro gli studi botanici più evoluti affrontano le tematiche metafisiche e filosofiche collegate alle piante offrendoci un universo ricco di tradizioni e saperi ma anche di nuove scoperte.



Nella forza intrinseca delle piante risiedono un’energia e una varietà infinita di elementi, presenti sia sotto forma di erbe officinali che di principi attivi, oggi alla base della maggior parte dei farmaci e dei preparati erboristici; ma oltre che sulla salute fisica le piante possono intervenire anche sui livelli più sottili della psiche e dello spirito.



Studiare gli archetipi delle piante ci permette di fare un parallelo fra la valenza simbolica della pianta e il corrispondente stato psico-fisico dell’uomo, di comprendere la natura delle manifestazioni di una malattia e di intervenire laddove il tradizionale approccio causa-sintomo non è sufficiente o è fallimentare. Le piante possono essere alleate insostituibili ma sono anche uno strumento potente, da conoscere e utilizzare con cautela e competenza. L’immenso e coinvolgente patrimonio di tradizioni e culture di tutto il mondo ci illustra un repertorio sconfinato di creature vegetali dalle valenze afrodisiache, curative, alimentari, cosmetiche e anche velenose. Incontriamo oggi Erika Maderna, etruscologa e archeologa, nonché studiosa del rapporto fra mitologia e natura, e autrice di numerosi volumi sul tema.




Come nasce il suo interesse per la mitologia e il rapporto con il mondo vegetale?
Lo studio della mitologia è la naturale prosecuzione dei miei studi classici. In realtà la mia formazione parte dall’archeologia, ma confesso di avere sempre preferito agli scavi materiali approfondimenti più... immateriali. Nei racconti del mito trovo infiniti spunti di riflessione: è come un linguaggio segreto da decriptare all’infinito, che non esaurisce mai la meraviglia delle sue suggestioni. Il mondo vegetale rappresenta un altro grande scrigno di tesori. Il senso del sacro che i nostri antenati percepivano nella natura ha reso i boschi, gli alberi e perfino i fiori e le erbe umili i grandi protagonisti delle religioni più antiche. Negli anni mi sono lasciata coinvolgere sempre più da questi magici intrecci e ho cominciato a riscoprire il mondo naturale attraverso lo sguardo puro e poetico dell’uomo antico.



Quali sono gli autori dell’antichità che si sono approcciati allo studio uomo/natura?
Il rapporto fra uomo e natura è presente in tutti generi della letteratura classica. Possiamo scorgerlo fra le pieghe di miti, nei poemi di Omero, nelle prime forme della poesia arcaica. Le Metamorfosi di Ovidio, per fare un esempio, possono considerarsi una grande enciclopedia dell’immaginario botanico, che ci consente di accedere a un catalogo aneddotico eccezionale. Le numerosissime storie di metamorfosi arborea narrate ci permettono di comprendere come un tempo fra natura umana e vegetale venisse percepita una famigliarità che potremmo definire “animica”. Il poeta greco Esiodo, vissuto nell’VIII secolo a.C., arrivava addirittura a supporre che in origine le stirpi umane fossero state generate da antenati arborei. In seguito, la natura è diventata oggetto di studio e catalogazione sistematica. Così, nelle opere di Teofrasto, Plinio, Dioscoride e altri autori, possiamo attingere a informazioni più scientifiche, per delineare un percorso che conduca dal mythos al logos.



Quale importanza avevano le piante per l’uomo antico, al di là dell’utilizzo alimentare?
Greci e Romani erano affascinati dal mondo vegetale e credevano che in natura nulla venisse generato senza un motivo recondito. In alcuni approcci filosofici, come quello pitagorico, utilizzo alimentare e riflessione filosofica coincidono: nutrirsi di certe “herbae mirabiles” poteva perfino avvicinare l’uomo agli dei. Per esempio, si riteneva che avessero questo potere piante semplici e spontanee come la malva e l’asfodelo, che erano considerate una sorta di nutrimento mistico. Entrambe erano note per essere alimenti poveri, semplicissimi, erbe a cui si ricorreva nei periodi di carestia: cibi ma anche panacee ricche di principi medicinali. Nella loro semplicità, potevano fornire un sostentamento esclusivo e completo, poiché erano considerati cibi sufficienti a togliere la fame e la sete e a garantire la sopravvivenza all’essere umano. Affidarsi a una simile alimentazione significava adottare una dieta che potremmo definire a tutti gli effetti filosofica.



Qual era nell’antichità il rapporto tra l’uso delle piante a fini terapeutici e per scopi magici?
La funzione curativa in realtà era tutt’uno con l’aspetto magico. Di fatto, in tutte le tradizioni antiche, medicina e magia coincidevano. La vis terapeutica delle piante, quello che noi oggi chiamiamo principio attivo o fitocomplesso, era percepita come un aspetto divino. Il potere medicinale di fiori ed erbe era fonte di grande ammirazione, ed era diffusa la convinzione che ogni malattia potesse essere curata grazie alle piante, sebbene la parte più rilevante delle loro proprietà rimanesse per lo più nascosta all’uomo. Medici degni di considerazione si dicevano certi che esistessero piante capaci di diffondere il loro dono di guarigione semplicemente se calpestate. La funzione magica era implicita nella risposta terapeutica, altrimenti inspiegabile, che si riteneva parte della complessa interazione fra macrocosmo e microcosmo, nella quale anche l’uomo si inseriva.



Quali archetipi trova più significativi per la comprensione del valore simbolico delle malattie, e quanto questa comprensione interviene nella riuscita di una cura?
Trovo particolarmente significativo l’archetipo del guaritore ferito, che da un punto di vista psicologico vuole ricordarci non soltanto che ogni paziente possiede un medico interiore, ma soprattutto che ogni medico è anche un paziente; in altre parole, il guaritore, solo se avrà sperimentato la sofferenza, sarà in grado di riconoscerla nell’altro e di ristabilire l’equilibrio psicofisico turbato. Nella tradizione dell’antica Grecia questa visione archetipica del rapporto fra malattia e cura si incarnava nella figura del centauro Chirone, il primo terapeuta e chirurgo, nonché maestro di medicina che, ferito da una freccia avvelenata scagliata dall’eroe Eracle, era condannato, in quanto immortale, a patire in eterno sofferenze indicibili; queste tuttavia lo portarono a rinunciare all’immortalità, che decise di scambiare con Prometeo, restituendo pieno significato alla sua infirmitas.



I racconti mitologici sono ancora di grande attualità nello studio della psicoanalisi, vorrebbe raccontarcene uno a lei particolarmente caro?
In alcuni miti di guarigione è possibile trovare un approccio simbolico alla malattia e alla cura che potremmo definire a tutti gli effetti psicoanalitico. Uno tra gli episodi che mi sembrano più rappresentativi racconta di Melampo, un medico sacerdote che si era trovato a curare un certo Ificlo dalla sterilità. Melampo aveva scoperto che durante l’infanzia Ificlo aveva subito un profondo shock emotivo, quando si era trovato ad assistere suo padre mentre castrava alcuni montoni. La vista del coltello insanguinato lo aveva terrorizzato a tal punto da farlo fuggire in preda al turbamento; il padre lo aveva inseguito per rassicurarlo, liberandosi del coltello, che aveva conficcato nel tronco di una quercia, dove, dimenticato, era rimasto nei molti anni a seguire. Melampo, solo dopo avere compreso la causa profonda del disturbo di Ificlo poté procedere a “scioglierne” il vissuto traumatico: riuscì a ritrovare il vecchio coltello, ormai ricoperto di ruggine, ed ebbe l’intuizione di trasformare proprio quest’ultima nell’ingrediente risolutivo della pozione medicinale che gli somministrò e che lo guarì. La risposta stava insomma nell’eliminare le “vecchie ruggini” legate al passato: in sostanza, ciò che ha determinato la malattia ne sarà anche la cura.

Nathalie Anne DoddBibliografia:

Erika Maderna. Per virtù d’erbe e d’incanti, Aboca edizioni, 2018

Erika Maderna. Le mani degli dèi. Aboca edizioni, 2016

Erika Maderna. Medichesse. La vocazione femminile alla cura, Aboca edizioni, 2012Credits

Immagine di copertina



  • Evelyn de Morgan. Night and Sleep


Foto


  1. William-Adolphe Bouguereau. Reve de printemps


  2. John William Waterhouse. Flora e Zefiro


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