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24 Ottobre 2019

Pinuccio Sciola e i suoi doni alla Gallura

Cagliari Art Magazine

«”La pietra è la spina dorsale del mondo” recita un detto della civiltà Inca che avevo sentito in Perù. Tutta la cultura Inca era impostata sul rapporto tra la montagna, la pietra e l’universo; per cui la filosofia e la spiritualità nel loro profondo erano fondate su questi elementi. Da tempo con la pietra vado scoprendo emozioni sopite da silenzi irreali, ma la musica che riesco a far scaturire dalle ultime sculture non ha niente di terreno, sono suoni astrali. Ho immaginato spesso che al momento della formazione dell’universo qualche eruzione più forte di altre abbia scaraventato masse incandescenti nello spazio siderale e nella loro corsa abbiano incastonato pezzi di stelle che ritrovo nelle pietre.
Questa archeologia dell’universo ci porta a scoprire altri valori di una materia per antonomasia muta, ma che al contrario riesce a comunicarci le sue avventure astrali anche attraverso la musica, con un linguaggio contemporaneo e planetario.»




Quando Pinuccio Sciola presentava per la prima volta le sue pietre sonore a Berchidda in occasione del Time in Jazz Festival del 1996, non stava semplicemente mostrando una pietra in grado di produrre dei suoni, stava piuttosto lasciando che la stessa roccia che aveva modellato si presentasse con la propria voce a tutta la platea di ascoltatori.
Era questo il dono unico e allo stesso tempo mistico di Sciola, l’uomo che, come diceva l’architetto Renzo Piano dopo avervi collaborato insieme, somigliava alle stesse pietre che lavorava sapientemente e con cui aveva un patto di collaborazione.



Il viaggio che avrebbe portato l’artista sardo al riconoscimento internazionale ha inizio a San Sperate, suo paese natale, e successivamente a Cagliari dove studia presso il liceo artistico. Ma Sciola è assetato di conoscenze e subito dopo il liceo frequenta prima l’Istituto d’Arte di Firenze e dopo l’Accademia Internazionale di Salisburgo, dove gli fanno da insegnanti artisti come Minguzzi, Kokoschka e Marcuse.
È nel 1973 che l’artista entra in contatto, grazie ad una borsa di studio, con il maestro David Alfaro Siqueiros a Città del Messico. Da lui impara l’arte del murales che deciderà poi di riportare con sé in patria qualche anno più tardi, trasformando proprio San Sperate in un paese-museo le cui case esibiscono ancora oggi una grande quantità di muri colorati.



Dal 1996 in poi per l’artista inizia una fase che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, garantendogli un riconoscimento internazionale che avrebbe portato le sue pietre sonore nei luoghi più reconditi del mondo, da Shanghai a Città del Messico.



Sciola infatti inizia a far cantare le pietre, ma il processo non è casuale: sceglie accuratamente il blocco in base al materiale, sa già quale compito e forma gli conferirà e soprattutto, solo toccandolo, sa già quale melodia materiale solido e muto nasconde al suo interno.


Per Sciola la pietra è tutto: è ciò che sorregge il mondo e le sue creature, è presente in qualunque luogo, è un prodotto terreno ma che contiene al suo interno i segreti delle stelle ed è bellissima sia nel suo silenzio che quando canta.


Così negli anni la sua produzione di pietre sonore diventa una costante occasione per perfezionare la tecnica e un’opportunità per mettere i suoi lavori a disposizione delle persone che possono a loro volta suonarli utilizzando le mani o altre piccole pietre.



Nel corso della sua carriera l’artista ha realizzato spesso opere diverse per le città della Sardegna, la terra a cui egli è indissolubilmente legato, che oggi sono diffuse su tutto il territorio regionale.


Anche in Gallura è possibile ammirare alcune delle sue sculture custodite in alcuni dei centri più importanti della zona. Le prime due si trovano nella chiesa di Stella Maris a Porto Cervo e raffigurano San Giuseppe e il Papa Giovanni Paolo II.
Pur non essendo delle pietre sonore è facile capire come anche in questi lavori trapeli la sapienza e la maestria con cui Sciola lavora la pietra, non con un metodo perfezionista ma piuttosto facendo coesistere nella stessa scultura sia la pietra che la figura umana, avvicinandole e mettendole entrambe in risalto.



Alla città di Tempio Pausania nel 1998, Sciola regala invece 5 pietre sonore destinate ad essere suonate da tutti i cittadini. Lasciate tuttavia per diversi anni alla mercé degli elementi, oggi queste pietre sono state risistemate nel Parco Grandi, una grande area erbosa che da circa due anni a questa parte è al centro di un progetto volto alla costruzione di un percorso museale multisensoriale all’aperto che prevede l’inclusione delle stesse pietre dello scultore.



Tra gli alberi della foresta del Limbara poi Sciola decide di mettere quasi a nudo la personalità della pietra imbrigliando nelle catene delle grandi rocce marmoree.


È una delle tante opere che costituiscono insieme il percorso del Museo di Arte, Natura e Ambiente a Berchidda-Semida e che Sciola dona nel 2001, intitolandola Transito.
A un primo sguardo, Transito potrebbe far pensare alla roccia come materiale vivo e ribelle, ad un contrasto tra l’opera dell’uomo e la forza inesorabile di quella massa, tuttavia il messaggio dell’artista è ben altro. Legando le rocce con le catene, non solo lo scultore spera di esaltare il ritmo dei massi che si ripercuote sul ferro ma evidenzia anche l’aspetto più accondiscendente della pietra, che si lascia legare dall’uomo placidamente nonostante potrebbe facilmente evadere da quella costrizione. Crea così, come spesso succede nelle sue opere, un’intesa amichevole tra l’uomo e la pietra, rendendola viva e più vicina a chi la osserva.



Il 13 maggio 2010 infine, ormai quasi dieci anni fa, Sciola arriva a Santa Teresa di Gallura e armato di braccia amiche e di una piccola gru da lavoro, posiziona in piazza Bruno Modesto quei blocchi che sarebbero poi diventati i suoi famosi Semi di pietra. Le sculture furono commissionate dalla Provincia di Olbia Tempio per commemorare i 200 anni dalla fondazione della cittadina, e il risultato fu monumentale e toccante al tempo stesso. I semi, alte rocce “ferite” (come usava chiamarle lui stesso) che oggi si ergono dal centro del prato d’erba della piazza, sono accompagnati da un’incisione dello stesso Sciola, poche righe per spiegare il suo pensiero:



“La storia del tempo. Quasi un sito archeologico nel quale sono ammassati i reperti litici a testimonianza di una storia indelebile da tramandare alle prossime generazioni. La storia della nostra cultura è scritta dentro la pietra e rimarrà nel tempo incisa nella nostra memoria.”


Benedetta Piras

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