Rifare il mondo con parole, opere e collage tessili
Rifare il mondo è la mostra di Bona de Mandiargues al Museo Nivola dal 16 settembre 2023 al 5 febbraio 2024 a cura di Giuliana Altea, Antonella Camarda, Luca Cheri, Caterina Ghisu. Con opening previsto il 16 settembre alle ore 17.30 al Museo Nivola si presenta la prima grande retrospettiva dell’artista surrealista Bona de Mandiargues (Roma 1926 - Parigi 2000).
È una delle protagoniste del panorama di un surrealismo “al femminile” oggi finalmente al centro dell’attenzione di critica e pubblico. Artista e scrittrice dalla singolare vicenda - mai in precedenza ricostruita - la sua opera scaturisce da una ricerca della propria essenza che trova, nei temi della metamorfosi, del totemismo animale e del fantastico, i mezzi per esprimere un’identità divisa e frammentata.
La mostra, basata su estese indagini d’archivio, ricostruisce la traiettoria dell’artista, attraverso 71 opere comprese tra il 1950 e il 1997, provenienti dalla collezione degli eredi e da raccolte private e pubbliche fra cui la Fondazione Intesa San Paolo, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara.
L’appuntamento prevede un’introduzione da parte di Sibylle Pieyre de Mandiargues, figlia dell’artista affiancata dal team del museo Nivola che ha preso in carico la curatela.
Bona de Mandiargues, insieme a figure come Leonora Carrington, Meret Oppenheim, Dorothea Tanning, Dora Maar o Remedios Varo, è certamente protagonista di stravaganti creazioni e si guadagna la scena e, in una società ingessata, lei procede in una corposa produzione di materiale di studio. «La mia ricerca è alchemica - affermava l’artista - voglio fare dell’oro a partire dagli escrementi. (...) Rifaccio il mondo: là sono altrove, vedo le cose da più lontano.»
Donna affascinante, molto ammirata e generatrice di travolgenti passioni, Bona rifiuta esplicitamente i ruoli di musa e bambina, prevalenti nell’ambito del Surrealismo. Si identifica invece, almeno a partire dagli anni Settanta, con la lumaca, animale ermafrodita e figura ambivalente, al tempo stesso amichevole (si pensi alla fata turchina di Pinocchio) e ripugnante, incarnazione dell’informe surrealista. Per l’artista, la lumaca è simbolo dell’androgino, di fragilità e forza, e del continuo arrovellarsi della sua mente inquieta. Il percorso della mostra, aperto da un gruppo di preziosi dipinti che segnano l’avvicinamento dell’artista all’immaginario surrealista, prosegue con i fantastici paesaggi infuocati del 1955-56, influenzati da un viaggio nell’Alto Egitto, e le opere astratte dalle paste spesse e materiche dalla seconda metà degli anni Cinquanta fino ai primi Sessanta, quando la suggestione della cultura messicana aggiunge nuovi elementi al suo immaginario. Vague à l’âme è il quadro che inaugura nel 1958 la serie dei collage tessili, in cui la sperimentazione tecnica e la ricerca formale sono i veicoli di un’indagine introspettiva che porta alla luce traumi e pulsioni dal profondo. La Lezione sessuale (1962), l’imponente Trittico delle Nascite, (1965), dai toni primitivisti, e La Diana cacciatrice e cacciata (1968) sono tra i dipinti chiave di questa fase. Un immaginario denso di riferimenti simbolici in una tavolozza dalle tinte psichedeliche caratterizzano un gruppo di tele dipinte intorno al 1968, legate al secondo viaggio in Messico. Se il ricordo della pittura metafisica riemerge negli anni Settanta, con omaggi a De Chirico, Savinio e Magritte (Il gallo Toledo, Celeste Empire, 1975), nel decennio successivo il clima italiano del “ritorno alla pittura” non rimane estraneo a tele come il ritratto dell’attrice erotica e gallerista Sylvia Bourdon (1980) e Il canto della creazione (1980). La maturità dell’artista vede lo sviluppo dei filoni di ricerca già avviati, mentre si intensifica la presenza dell’immagine simbolo della lumaca, proiezione dell’artista, e quella del tema del ritratto (Omaggio a Unica Zürn, 1980) e dell’autoritratto. Quest’ultimo, centrale nella ricerca dell’artista, conosce nella mostra diversi importanti esempi, dal piccolo e aggraziato autoritratto giovanile a quello flamboyant del 1968 al volto ieratico e stilizzato di Bona à Mexico (1991), fino a quello del 1994 che mostra il volto di Bona moltiplicato e scomposto in dettagli (naso, bocca, ecc.), specchio della continua tensione, nell’opera dell’artista, tra la frammentazione del soggetto e la sua affermazione, che trova un’eco nelle potenti autorappresentazioni simboliche de La Femme Montagne e Ma Main (1991). L’artista è nipote e allieva di Filippo de Pisis, i suo nome è Bona Tibertelli, studia all’Accademia di Belle Arti di Venezia, prima di seguire lo zio a Parigi nel 1947. Qui conosce il critico e scrittore André Pieyre de Mandiargues, che la mette in contatto con gli intellettuali surrealisti, da André Breton a Max Ernst, da Dorothea Tanning a Meret Oppenheim, da Man Ray a Hans Bellmer, da Leonor Fini a Henri Michaux. Nel 1950 sposa de Mandiargues orientando i propri interessi verso i temi del magico, dell’onirico, dell’eros e dell’occulto. Dopo una fase formativa influenzata stilisticamente dall’esempio di de Pisis, Bona, così si firma, approda a una pittura figurativa nutrita di suggestioni fantastiche; interpreta la natura sulla base della ricerca surrealista del meraviglioso e del perturbante. Radici e mandragore dall’aspetto antropomorfo sono i simboli di una realtà in continua trasformazione che nella seconda metà degli anni Cinquanta trapassa nell’evocazione di un universo magmatico e fermentante, reso attraverso tele materiche, con l’uso di impasti densi di terre e polveri, con sguardi che ricorrono alle ricerche dell’informale europeo. Nel 1958 Bona sviluppa la tecnica dell’assemblage di materiali tessili. Da vecchi indumenti del guardaroba del marito recupera fodere e imbottiture (l’anima, in francese). Brandelli di tessuto che daranno avvio a innumerevoli composizioni cucite e montate su tela, da lei chiamate “collages”, “assemblages”, o “ragarts”. Parallelamente negli anni continuerà a praticare la pittura, il disegno e l’incisione, con opere dense di simbologie personali, di fantasie erotiche, di allusioni magiche e alchemiche. Nel 1958 soggiorna a lungo in Messico, aprendo una nuova fase artistica e personale. Ma saranno gli anni Sessanta a decretare il suo periodo di inquietudine esistenziale, segnato dalla separazione dal marito, da numerosi viaggi - in particolare in India, Afghanistan, Ceylon e Nepal e nuovamente in Messico - e dalle relazioni con il poeta Octavio Paz e con il pittore Francisco Toledo. La sua opera si arricchisce di riferimenti alle culture con cui viene a contatto tanto nelle gamme cromatiche e nello stile, quanto nei soggetti e nelle simbologie. Il 1967 segna la riconciliazione con de Mandiargues e la nascita della figlia Sibylle. A partire da questo momento Bona muove verso nuove direzioni, si intensifica la sua produzione grafica, con disegni erotici ispirati dall’arte tantrica. Gli anni Novanta vedono in primo piano il tema del ritratto, appaiono omaggi a protagonisti storici della cultura del Novecento, e un’esplorazione del sé attraverso l’autoritratto e il ritratto di famiglia. Bona affianca all’attività pittorica quella di poetessa e narratrice: del 1967 è il racconto surrealista La Cafarde, del 1977 l’autobiografia Bonaventure, degli anni ottanta le raccolte di versi I lamenti di Serafino (1985), À moi-même (1988), e Vivre en herbe, ricordi della sua infanzia, pubblicati postumi da Gallimard nel 2001.
Anna Maria Turra
Credits photo Andrea Mignogna