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Sa bruxa, il murale dedicato alla figura di Antonia Usay
9 Dicembre 2023

Sa bruxa, il murale dedicato alla figura di Antonia Usay


L’abbiamo conosciuta in un film uscito di recente nelle sale italiane. Sa coga veniva chiamata la strega del villaggio protagonista di La Terra delle Donne. Un marchio che veniva attribuito a Fidela in quanto settima figlia femmina in una famiglia senza maschi. Non era la sola. La superstizione aveva colpito anche un’altra figura che in questo caso nulla ha a che fare con la fantasia. L’aritzese Antonia Usay, vissuta tra il Cinquecento e il Seicento, è stata al centro di un murale realizzato dall’artista sardo Mauro Patta ad Aritzo. Un’opera che, usando le parole dello stesso autore, vuole essere la testimonianza di quella che all’epoca era una «caccia alle streghe, perpetrata per mano del tribunale dell\'Inquisizione nella Sardegna del Cinquecento».


Antonia Usay, morta nel 1593, era considerata Sa Bruxa, la strega del paese. Il che voleva dire essere esclusi dalla società, e non solo. La Sardegna viveva in un periodo dove tradizioni e superstizioni si intrecciavano fino a diventare un\'arma tagliente verso alcune donne. Le Bruxas erano temute, ma erano accettate in quanto le loro azioni (o poteri se si decide di mettersi nei panni dell’uomo comune), portavano dei benefici alla comunità.


I riti, come incantesimi, erano in grado di curare persone e animali dai mali e lei nel corso degli anni aveva assunto un ruolo fondamentale nella vita sociale. Nel bene, ma soprattutto nel male visti i contrasti con la medicina e la Chiesa che utilizzava punizioni violente nei confronti delle streghe.


Come sostiene l’artista, «la composizione porta in posizione centrale una giovane donna dallo sguardo fiero, cosciente della sua innocenza, volutamente orgogliosa e ribelle che sfida rassegnata coloro che l\'hanno giudicata colpevole; invita l\'osservatore a guardare con occhi nuovi, quelli di un\'innocente».


Antonia fu accusata più volte dal tribunale del Sant’Uffizio fino a essere condannata a centinaia di frustate. «Viene rappresentata con indosso il Sambenito, una veste gialla con la croce di Sant\'Andrea incisa sul petto, marchio degli eretici penitenti. Denudata delle sue vesti e con i capelli corti, è totalmente privata della sua dignità. In mano tiene il giglio bianco che, come narra una leggenda, nacque spontaneamente dalla terra sotto cui venne sepolta una di queste donne».


«L\'ambientazione - conclude-  è uno spazio vuoto e sterile, metafora della prigionia della cella, della solitudine e del silenzio che l\'avvolgono. Seduta sull\'atto accusatorio che incriminandola ne declamò la colpevolezza, porta alle spalle un\'incisione medioevale rappresentante demoni e caos». E la scelta della parete non è casuale così come il cerchio alle sue spalle che rappresentano simbolicamente «il rosone della Chiesa, vera responsabile dei crimini perpetrati per mano dell\'inquisizione in un periodo buio e oscuro della storia».


Riccardo Lo Re


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