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4 Ottobre 2019

Salvatore Niffoi, tutta la letteratura dello scrittore nato in Barbagia


Salvatore Niffoi ha scritto i testi per Ali di stracci di Piero Marras e Peace and groove del blues man sardo Francesco Piu. Attualmente, da Orani, lavora alla produzione di un nuovo concept album con una band tutta sua, I Duncas. Nel suo ultimo romanzo Il cieco di Ortakos, come del resto in tutti i suoi lavori, la narrazione è materica, fatta di passioni e profumi, di gente e di fatti che agitandosi su un foglio creano e rappresentano quel microcosmo universale che è la sua Sardegna.



Un romanzo breve seguito da un racconto dove si snodano due storie in cui la cecità è vissuta in direzioni opposte, parallele eppure divergenti. Damianu, che subisce il destino dell’odio paterno per via della sua menomazione, e Paolo che a seguito di una vita vissuta attraverso quella degli altri, imbocca l’arbitraria decisione dell’oscurità.



E nel passaggio «Avevo capito che nessuno ama la vita quanto un non vedente che la odia» Salvatore Niffoi mette a soqquadro un’intera concezione delle cose, le sposta nel tratto di pianeta confinato nel paese di Ortakos dove la possessività di un padre si trasforma in violenza per Damianu, aggiungendo la pesante croce della lunga sequela di rovesci e disgrazie da cui la sua famiglia è afflitta da generazioni.



Chi lo dice? «Vi racconterò tutto della mia vita, promesso, senza tralasciare niente. E sarò bravo, forse riuscirò a farvela sentire e vedere, si, vedere, proprio io che l’ho vissuta chiuso dentro un bozzolo come una larva di cristiano. Ma prendiamola con calma, che noi ciechi siamo abituati a camminare piano e con gambe invisibili.»



L’amore della madre, insieme alla carità del medico e del prete, lo renderà capace di leggere con le dita il giovane protagonista. Grazie alla passione per la lettura, che gli permette di immaginare i colori nascosti del mondo degli altri, sarà in grado di uscire dall’isola per cercare la fortuna altrove finché il richiamo della propria terra, delle proprie radici, non sarà più forte. Un’esistenza setacciata con gli occhi di un cieco, intrisa di buio, di dolore e rabbia inghiottiti in bocconi amari. Ma insieme anche il racconto sincopato e definitivo di un’esistenza piena di tutto il calore e l’intelligenza che tatto e destino gli fanno incontrare sulla propria strada. Fino alla notte del miracolo perché mettendo in gioco la propria vita forse ne matura una visione chiara, quella che solo il dolore sa restituire.



La storia di Paolo invece, soprannominato Pasodoble a causa della sua mania per il tango, ha una traiettoria opposta: sarà lui stesso a scegliere sin da piccolo una sospensione dalla realtà. Non vivendo la propria vita per vivere tutte quelle al di fuori di sé, incontri fatti attraverso i libri creano lo spiazzo di dislocamento delle emozioni in un’atmosfera in cui al delirio accede la decisione: rinchiudersi in convento per la certezza che non ci sia più nulla da vivere.



La natura Incredibile e infera della Barbagia fa da sfondo alle due storie narrate con la cifra di uno dei maggiori scrittori italiani in una lingua cruda, lirica a tratti sismica che lascia i personaggi entrare e uscire di scena in dissolvenze di una rarefatta atmosfera da sogno.



Salvatore Niffoi esordisce come scrittore a 37 anni e, tra le numerose opere al suo attivo, ricordiamo La vedova scalza che nel 2006 gli valse il premio Campiello. Parte nel 1987 con Collodoro (Solinas, poi Adelphi, 2007), Cristolu (Il Maestrale, 2001), La leggenda di Redenta Tiria (Adelphi, 2005), Ritorno a Baraule (Adelphi, 2007), Pantumas (Feltrinelli, 2012), La quinta stagione è l’inferno (Feltrinelli, 2014) e infine per Giunti ha pubblicato nel 2017 Il venditore di metafore. Il 21 marzo del 2020 uscirà per Giunti il suo nuovo romanzo Le donne di Orolé, la storia di due donne che, ognuna a modo suo, pagano un prezzo di sangue e dolore per espiare la colpa di essere nate a Orolé, dove l’ineluttabilità del male e della morte sono le uniche certezze degli abitanti.



Dell’attuale modo di dialogare sui social e in generale del nostro mondo immerso nella tecnologia, dice: «Quella dei nostri giorni è un’incomunicabilità mascherata da finta amicizia, direi una forma di neo futurismo linguistico. Non si parla più, si comunica per onomatopee, col dito costantemente impegnato in una tastiera dove tuttavia si è perso il piacere della scrittura.»


Che per Salvatore Niffoi l’inferno sia come la Barbagia quando l’inverno entra nella primavera l’ha sancito con la sua opera La quinta stagione è l’inferno.
Spiega che il suo paese è l’unico posto in cui si ritrova e si riconosce perché basta vedere la meravigliosa tavolozza di colori di quella stagione inesistente che esplode all’improvviso, scendendo verso la piana di Sos Graveglieddos, per capire che quella è una quinta stagione che non esiste sul calendario, una ricchezza immateriale da preservare a tutti i costi da ogni forma di inquinamento. Niffoi continua a credere in un modello di sardità non millantata in cui l’appartenenza è rampa di lancio all’internazionalizzazione, al confronto ad armi pari tra locale e globale. «Credo ci sia una sardità culturale, quella fatta di un certo tipo di radicamento alle origini. Non solo quella dei quattro mori o della birra Ichnusa, ma un modo di essere che travalica con coraggio le nostre coste, si apre al mondo. La Costa Smeralda, con i suoi esempi di architettura è tutela dell’ambiente, è una macchina da guerra da cui dovremmo imparare, declinando nell’intera isola quella stessa forza espressiva.»



Una sardità di testa, quella che attraversa la regione intera senza preconcetti in un vero viaggio alla Lawrence come ama spesso dire. Fu proprio lui nel 2006, insieme agli amici imprenditori veneti, a volere la tappa del Premio Campiello a Porto Cervo e a Nuoro nella casa natale di Grazia Deledda. Intimamente non ha mai smesso di sperare che la Costa Smeralda possa diventare palco fisso ancora oggi di questo prestigioso appuntamento: «Quando ho ritirato il premio Campiello ho dichiarato che la cultura è l’unica arma di riscatto che hanno i sardi se vogliono finalmente arrivare alla consapevolezza di una comune appartenenza che unisca le coste e le zone interne.»



Certo non è un modo classico di rimanere al passo coi tempi quello di Salvatore Niffoi perché delle sue escursioni alla Chiesa Stella Maris, delle sue chiacchierate con Don Raimondo Satta o degli scambi alle manifestazioni delle cortes apertas autunnali in Barbagia ne fa un uso improprio come quello che ne farebbe un ragazzino col motorino nuovo: tutto quanto diventa libro.



Quest’autore che dell’universo giovanissimi, quello che dei contenuti visivi, ne fa una forma di comunicazione elettiva, ha un’opinione altissima «Siamo immersi in ambienti dalla tecnologia a fusione fredda ma loro hanno un altro passo. Impariamo dai nostri post millennial, loro sono veloci e sono già lì, dove noi pretenderemmo di guidarli. Sono a un livello superiore di scommessa narrativa, che bellezza la tecnologia al servizio della storia. L’importante è non perdere il senso della medesimezza umana diventandone schiavi. «Io sono stato contagiato dalla piacevole malattia della scrittura da quando ero ragazzino e ho un debito d’onore con quel mondo non globalizzato che adesso vive un terremoto antropologico che rischia di devastarne la sua identità, la sua purezza.»


Anna Maria Turra

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