Sardi celebri: la storia di Francesco Ciusa
Francesco Ciusa fu da sempre legato alla sua terra natale. Un’isola, quella sarda, all’epoca grandemente travagliata dal fenomeno del banditismo prima e della guerra poi. Sarà proprio questa situazione così critica eppure quasi sconosciuta al resto del mondo a spingerlo a utilizzare la sua arte come canale per portare anche nella penisola quelle montagne e quei paesi a cui lui non ha mai smesso di pensare.
Nel corso degli anni si dedicherà alla modellazione di materiali come il marmo e il gesso per realizzare diverse figure che spesso porteranno con loro un messaggio importante, sia esso legato alle piccole e inestimabili tradizioni o agli avvenimenti più oscuri e tragici del periodo.
Nato a Nuoro il 2 luglio 1883, Ciusa è figlio di un ebanista dal quale apprende i primi rudimenti di scultura e modellazione. La sua famiglia non è ricca, e già dagli anni dell’infanzia e della sperimentazione, lo scultore immortala il mondo a lui più vicino delle persone meno abbienti e più semplici. È per questo motivo che tra le sue prime produzioni emergono le ben conosciute di figure di poveri e di mendicanti, il primo segnale che la sua arte va oltre la semplice estetica, scegliendo allo stesso tempo di raccontare il mondo reale.
Quando il padre di Francesco muore prematuramente la sua vita subisce una svolta. Finite le elementari infatti abbandona gli studi e per lui inizia un periodo di crisi, seguito da un conflitto con la madre che avrebbe voluto iniziarlo agli studi per il sacerdozio.
L’animo di artista di Ciusa tuttavia è irrequieto e ha ancora tanto da mostrare al mondo, così l’artista si rivolge al Comune di Nuoro mostrando alcune sue opere, gesto che gli vale un sussidio sufficiente per garantirgli la formazione universitaria all’Accademia delle Belle Arti a Firenze.
A Firenze, l’artista sperimenta la grande differenza con l’aria di Nuoro: la grande città è tutta un fermento, un crocevia cosmopolita di artisti e mentalità tutte diverse fra loro e un terreno fertile dove imparare. Durante i suoi studi, il giovane verrà da subito influenzato dalle correnti di pensiero simboliche e realiste e del libero pensiero. arrivando alla conclusione che l’arte deve essere messa al servizio dei contesti sociali, un pensiero che porterà con sé quando tornerà in Sardegna.
Rientrato nella sua isola nel 1905, Ciusa decide di soggiornare per un anno a Sassari presso la casa dell’amico Giuseppe Biasi. Tornerà a Nuoro un anno dopo determinato a sfruttare le sue capacità per raccontare la Sardegna attraverso le sue opere.
È nel 1907 che raggiunge l’apice della fama grazie alla sua opera più importante, La madre dell’ucciso.
Esposta in seguito alla Biennale di Venezia con il massimo delle acclamazioni, si tratta di una donna anziana realizzata in gesso seduta a terra mentre si regge le gambe piegate al petto. Ciò che colpì maggiormente i visitatori e la critica era il volto dell’anziana donna, uno sguardo indurito dalla tensione, impassibile mentre scruta il vuoto forse in cerca di una risposta. La scultura nella sua posizione, nelle rughe del volto e nello stesso materiale utilizzato trasmetteva all’osservatore una quantità indescrivibile di emozioni. Le stesse che qualunque madra proverebbe dopo l’uccisione del figlio e che probabilmente erano fuoriuscite dal suo animo poco prima e che adesso si erano quietate come la fine di una tempesta, richiuse in un silenzio di morte.
Fu la sua espressività, quel rito funebre e silenzioso chiamato “sa ria” e l’espressione di una realtà che in pochi conoscevano davvero nella penisola, a fruttare all’artista le lodi e la possibilità di mettere la madre dell’ucciso in mostra alla Biennale.
Quella madre inoltre non era una donna inventata. L’artista aveva realmente assistito, quando era molto giovane, alla scena di una donna del suo paese natale che piangeva in questo modo il figlio assassinato da dei banditi in cerca di vendetta.
I dieci anni successivi sono fatti di cambiamenti e continue produzioni. Dal 1908 lo scultore è sposato e vive a Cagliari, dove inizia a produrre i suoi Cainiti, una serie di opere volte a mostrare la vita nella Barbagia attraverso figure di persone semplici.
Nasceranno quindi il Cainita, Il pane, La filatrice, La dolorante anima sarda - raffigurante una vedova- Il nomade e Il dormiente sono tutta una serie di figure impegnate nei loro doveri e immerse nella loro quotidianità, ognuno di loro racconta una piccola ma importantissima azione.
Sempre a Cagliari la sua passione per la ceramica da sempre con lui, lo porterà a fondare nel 1919 la Società per l’Industria Ceramica Artistica (SPICA), una manifattura di piccole ceramiche che resterà attiva per più di dieci anni.
Nel 1925 arriva poi ad Oristano, dove gli è stato offerto di dirigere la Scuola d’Arte Applicata e di formare nuovi ceramisti, incarico per il quale deve chiudere la SPICA.
È qui che l’artista produrrà alcune opere importanti tra cui il monumento a Sebastiano Satta poi esposto a Nuoro, un busto di Mussolini commissionatogli e realizzato seppure senza simpatie nei confronti del movimento fascista e infine, nel 1940 Il fromboliere, la sua ultima opera di rilievo prima della sua morte.
Tornerà a Cagliari nel 1943 e qui passerà gli ultimi anni della sua vita -morirà nel 1949-, tra le sue letture e le visite di pochi ma carissimi amici.
Benedetta PirasCrediti immagini: Nicolas Vadilonga - flickr.com/photos/nicolasdogyuma/