Sebastiano Sebas, quell’unica mossa sulla scacchiera dell’imponderabile
Sebastiano Sechi è il pittore noto come Sebas, si è formato all’ombra di illustri maestri e oggi è a Ossi il punto di riferimento per la logistica delle opere di artisti di ogni provenienza. Incontra Gavino Tilocca all’istituto d’arte di Sassari, qualcosa di questo scultore lo segna a fuoco e capisce quel che c’è di certo: si può partire da un’oscurità, da un bisogno, da un “di meno”.
Mentre dell’artista Stanis Dessy ricorda l’andatura claudicante quando, come una sorta di patriarca si muoveva nel salone sconfinato del liceo e, con l’inflessione di Arzana lo chiamava ‘Bocciano’; tra uccelli impagliati, sculture e opere pittoriche, sotto la sua protezione, il giovane Ciano imparava a decodificare, copiandola, la realtà; anche per questo ricordo oggi torna allo schizzo a matita.
Dall’85 è il fondatore della Pro Loco di Ossi e si prodiga in un lavoro continuo per mantenere vitale il posto in cui è nato. È dal 94 il vicepresidente Regionale UNPLI Sardegna ed attualmente ricopre anche l’incarico nella giunta nazionale.
La famosissima Sagra delle Lumache, diventata dall’86 nel corso degli anni un appuntamento imperdibile, si candida ad ottenere a marzo il riconoscimento di Sagra di qualità dall’Unione Nazionale Pro Loco Italia.
Appena diciottenne, nel ‘72, fonda una squadra di calcio femminile che, in onore dei Mondiali, prenderà il nome di Unione Sportiva Monaco. Impiegato del comune nell’81, svolge nel corpo dei Vigili urbani un’attività di 20 anni in una realtà infestata da soggetti che di seguire le regole non ci pensavano nemmeno, in un accoglimento delle norme frammentato e, a dir poco, selettivo. «I verbali fioccavano, dovevamo scrivere parecchio, erano tempi in cui alcuni si disciplinavano a modo loro - ricorda Sebas - non sempre la nostra divisa veniva vissuta come una cosa da rispettare. E con i miei colleghi subivamo piccole vendette, come trovarsi le gomme squarciate; erano continue ritorsioni legate all’esercizio di un dovere forse superiore alle forze di chiunque. Eppure ce l’abbiamo fatta: il gioco è poterlo raccontare.»
E si capisce che per Sebas la vita è per lo più fatta di strategia e pazienza perché, spiega la sua opera La mossa del cavallo, esiste un modo di procedere del cui esito non si può mai essere certi. L’inaspettato sulla scacchiera alterna il fiore alla farfalla, la mano dell’uomo sposta una barriera colorata e apre a orizzonti interplanetari.
Per alcuni anni prova anche con l’arte digitale, tornando alla pittura tradizionale, a un misto tra surrealismo metafisico ed astrattismo. Poi la passione per la fotografia, per come si insinuano luce ed ombra nel campo sportivo e nella carne dell’atleta. La vita delle squadre nello sport è, e resta, una sua idea fissa a cui dedica energie e pensiero.
Si sposerà nell’83, tre figli: Massimiliano, Dario e la piccola Natasha. A guardarla da vicino, la sua storia, anche a lui sembra impossibile, in questo accumularsi di settant’anni, tutti interi, in una fila indiana di avvenimenti di cui conserva le prove. Quindi ci deve credere e quando in un balzo supera le sue stesse resistenze e va allo scoperto, in quella terra dove si smarrisce, l’ispirazione è già sterminata e ancor più lo diventa con lui lì, a dilatarla d’ingegno e informazioni. «Dipingo di continuo, nel tempo che gli altri chiamano libero io cerco il sistema per far arrivare altri pittori da fuori, perché l’arte è cugina stretta dell’artigianato che, nella nostra terra è una sorta di religione, mica la pratichi in camera tua...»
È grazie alla sua incessante attività di tessitura delle relazioni che una sala del Palazzo Baronale di Ossi è costantemente occupata da monografiche di artisti provenienti da tutto il mondo. «Noi pittori e scultori, ceramisti o intagliatori ci esibiamo, eccome se ci esibiamo, in una Cambogia di dialetti locali e lingue straniere, respiriamo attraverso colori ad olio e argille, come un operaio respira nichel o una ballerina i passi di danza» è questo il modo in cui lui spesso trova equilibrio: esattamente a metà strada tra bene e male, in quell’assurda zona tanto piccola da sembrare inesistente. Sebas la scova, la fa sbalzare fuori dal buio, la gente lo cerca per questo suo essere mediatore, lucido, intransigente o soltanto infaticabile. Lungimirante? Ma per lui si tratta solo dell’effetto magnete del Museo Etnografico di Ossi che da una semplice stanza destinata agli artisti, l’ex sala baronale, riverbera intatta la forza di una storia millenaria.
«Nel 1972 ho fatto la mia prima personale di pittura proprio in quella stanza, dopo una collettiva a Sassari in via Roma, da dove Padre Giacomino Canu, girando con la sua Lambretta, già reclutava talenti da presentare in Galleria Sardegna. Di quell’ ostinata pratica della ricerca in pittura e scultura noi artisti non abbiamo quasi merito, è più una colpa - ride - a precederci è un’ urgenza di stare al sicuro, di stare bene, di trovare un posto dove ti puoi abbandonare, non dove ti abbandonano gli altri.»
Impegnarsi in prima linea per la riuscita della rassegna “Le stagioni dell’arte”, voluta dall’amministrazione pubblica di Ossi nella figura di Maria Laura Serra, assessorato alla cultura, è il gioco di specchi che, condotto da Sebastiano Sechi, riflette controtempi di mal di cuore, dove i bambini ridono o si ammalano, poi fanno la Cresima. Tra giorni di feste di paese, quelli interminabili di esaurimenti nervosi, si accendono candeline e sguardi di gratitudine. La terra si rinnova mentre ogni comunità sistema figli e bestiame, prima i più fragili.
Anna Maria Turra