Silvio Betterelli, designer fra arte e moda
Un confine sottile fra artista, designer e stilista caratterizza la vita di questo quarantenne, originario di Macomer e trapiantato a Milano, curioso e attento a quello che lo circonda: ricerca tessile, lavorazioni tradizionali che si intrecciano con nuove metodologie di tessitura, materiali classici e moderni lavorati su abiti che sembrano essere “capi unici”.
«Siamo riusciti a industrializzare questi pezzi dietro ai quali c’è sempre un lavoro di ricerca, - dice raccontando il legame stretto che lo unisce a due donne salentine, Sabrina e Pamela Seclì che, con la loro etichetta Sps hanno creduto lui - un’azienda al femminile, fondata da due donne che letteralmente credono nelle cose e le fanno succedere».
La biografia di Silvio Betterelli
È dall’Istituto d’arte di Sassari che è partito il viaggio di Silvio, per poi passare alla Naba a Milano, dove è stato prima studente e oggi docente, passando poi per l’Inghilterra, dove ha seguito corsi “piú artistici che tessili” e poi per Parigi, in una residenza per artisti dove ha avuto a disposizione uno spazio “per realizzare un progetto a metà fra arte e moda”.
E a metà fra arte e moda è sempre stato: ha partecipato alla Biennale d’arte di Venezia l’anno in cui i lavori erano dislocati in padiglioni regionali e a Sassari ha esposto tre progetti col sapore del tessile: un arazzo, un tappeto e un vaso di metallo “drappeggiato”. E alla tessitura era anche dedicato un enorme telaio, sul quale chiunque poteva lavorare tessendo pezzi di stoffa, a disposizione del pubblico.
Il rapporto con l\'isola
Il legame con la Sardegna è sempre stato un filo rosso che si ritrova nella sua moda attraverso la tessitura, la lavorazione dei tessuti, le forme e i colori. «Per fortuna non si riesce mai a prescindere dalle proprie origini, - dice Silvio Betterelli - ho avuto maestri importanti come Antonio Marras che ha fatto da apripista a tanti giovani stilisti sardi che si sono visti protagonisti di un mondo che prima ci sembrava lontano e che forse per noi era ancora più in là del mare che ci separa».
Poi c’è stato l’incontro con Angelo Figus di cui Silvio Betterelli è stato assistente: «Un personaggio importante che ha raccontato attraverso i suoi lavori, la Sardegna con uno sguardo internazionale, più artistico e concettuale».
Che tipo di donna vuole vestire Silvio Betterelli?
«È una donna che ama indossare pezzi speciali, pezzi unici. Non è una fashion victim, è emancipata, colta e nella sua casa ama circondarsi di opere e oggetti da scoprire. Una donna alla quale piace scovare le cose, anche un abito».
A Silvio Betterelli piacciono le donne che riescono a costruire, che hanno una fisicità importante. E Maria Callas è l’artista che avrebbe voluto vestire sia per il suo aspetto fisico che per il suo talento e il suo modo di porsi. E, cercando una donna sarda, Maria Carta. «Una donna forte che si schierava senza paura, anche politicamente, - dice Silvio Betterelli – una donna che è diventata un simbolo».
Essere fuori dagli schemi
Fuori dagli schemi tradizionali della moda patinata e massificata Betterelli ha un occhio particolare anche per il mondo della musica. Ha vestito Malika Ayane per il suo tour: «Malika è un’artista molto particolare e ci siamo trovati subito in sintonia. Mi ha spiegato il suo progetto e lasciato lo spazio per interpretarlo, abbiamo lavorato insieme e le cose hanno funzionato molto bene».
Negli incroci artistico-musicali di Betterelli c’è anche Vinicio Capossela. «Un bel personaggio, un intellettuale prima ancora che un musicista, uno che costruisce storie». E lo scorso anno, per la prima volta Silvio Betterelli si è cimentato con la linea uomo disegnando e producendo gli abito del tour di Capossela. «Una curiosità? Prima di conoscerlo avevo usato la sua musica in alcune mie sfilate, il nostro era un incontro che doveva capitare!».
Com’è la moda e il lavoro nella moda al tempo del Covid?
«L’insegnamento sia alla Naba sia al Politecnico di Milano (quest’ultimo per un progetto legato a studenti che arrivano dagli Stati Uniti) ha dato vita a un modo nuovo di lavorare. Durante il lockdown ho lavorato a distanza con gli studenti - racconta - e dalle nostre case abbiamo guardato quello che succedeva fuori. Abbiamo visto la primavera sbocciare fuori dalle nostre finestre con l’atmosfera interiore in cui quella situazione ci ha messo. Abbiamo “rubato” quella primavera che non potevamo vivere e l’abbiamo messa nei tessuti, nei modelli, nell’abbigliamento. In questi momenti bui le cose diventano minimali, meno strillate e non ti viene di riempire un abito di lustrini e paillette. Ti viene però voglia di afferrare qualcosa che ti è stato tolto. Ho visto stampe stupende, motivi floreali bellissimi e geniali, progetti originali. Da qualche parte quella primavera doveva saltar fuori e sbocciare. E così è stato nei lavori dei ragazzi. Una grande esperienza!».
Il mondo dell\'arte
In anni nei quali l’approccio al consumo si fa - e si deve fare - sempre più etico e sostenibile Silvio Betterelli ha sconfinato ancora una volta nell’arte e si è messo al lavoro, ormai da una decina d’anni, con la Fondazione Pistoletto di Biella, dando vita a un dipartimento di moda etica e sostenibile. La mission è quella di raccontare che la moda etica può essere più bella, interessante e curiosa di quella che abbiamo vissuto fin qui.
«Molti anni fa quando si pensava a un abito sostenibile si immaginava una tunica di cotone grezzo, - racconta - oggi, come ci stanno facendo vedere anche importanti brand, e con l’aiuto di tecnologie d’avanguardia e pulite, possiamo vedere un nylon, riciclato dalla plastica o dalle reti dei pescatori, che diventa un tessuto meraviglioso da lavorare a da indossare. Diventa dunque importante l’intervento del designer, del creativo che fa diventare desiderabili tessuti sostenibili».
Silvio Betterelli ama Balenciaga: «Il couturier, quello con lo sguardo sia al design che alla tecnica sartoriale». Ama un modo di fare moda moderno, etico, sostenibile, nel quali la tradizione, le origini e l’arte si intrecciano profondamente per dar vita a prodotti desiderabili, unici, ciascuno con una storia.
Anna Maria Turra