Smart working, il futuro del lavoro da remoto
Prima della pandemia non figurava tra i termini più usati nel nostro vocabolario. Oggi lo smart working non solo è nel nostro lessico, ma ha davvero cambiato la percezione del lavoro, a cominciare dallo spazio fisico che durante l’emergenza sanitaria si è contratto fino a coincidere con le mure domestiche. Ma non tutti. C’è chi ha preferito spostarsi, tornando nelle proprie città d’origine, oppure cercando dei luoghi lontani dal trambusto delle grandi metropoli. D’altronde, perché non approfittare di giorno in montagna per chi può permetterselo: un computer, una buona connessione a internet, e tanta determinazione verso gli obiettivi. Oggi l’Osservatorio Smart Working 2021 del Politecnico di Milano ha provato a dare alcuni dati il merito a ciò che stato il lavoro agile in Italia. Una rivoluzione, considerando i numeri previsti nel nel post pandemia.
Rispetto a quelli che hanno adottato questo modello durante l’emergenza covid, l’89% delle grandi aziende private è certa di mantenere lo smart working, seguito dal 62% della pubblica amministrazione, e dal 34% delle piccole medio imprese. Un numero indicativo su quella che sarà la direzione del lavoro dipendente. Ma non tutto è rose e fiori. Un terzo ha migliorato la produttività, ma l’8% ha sostenuto di aver sentito pressioni causando sintomi da tecno-stress. L’ overworking è stato invece percepito dal 17% degli utenti.
I dati dello smart working in Italia
Se si vanno a vedere nel dettaglio i numeri complessivi dello smart working, si può notare come le tendenze non siano mai costanti, segno di come tutto questo sia dovuto al contesto pandemico che non si è ancora concluso. L’aumento esponenziale del marzo 2020 stupisce, vedendo il dato di partenza di 570mila persone che stavano in smart working. Eppure quei 6,58 milioni di utenti hanno mantenuto più o meno le stesse cifre, con una riduzione che ha coinciso con la diminuzione del casi di covid. Dai 5,06 milioni si è tornati a salire a 5,37 milioni con un incremento del 5% durante il primo trimestre del 2021. Nella seconda parte, invece, il calo è stato del 14%, con 4,07 milioni di persone collegate da remoto. Un dato che, secondo l’Osservatorio Smart Working 2021, è destinato a mantenersi su questa soglia, con 4,38 milioni di persone suddivise in 680 mila nel settore pubblico, 2,03 milioni nel privato, 700 mila per quanto riguarda le piccole medie imprese, e 970 mila nelle piccole aziende.
Gli effetti
Lo smart working non deve essere pensato come un obbligo dettato dai tempi, ma va rivisto come un sistema integrato ed efficiente secondo varie modalità: da una media di due giornate lavorative per la pubblica amministrazione fino a tre per le aziende private. Alcuni aspetti positivi ci sono stati come flessibilità, apprezzato dall’89% dei lavoratori delle grandi aziende, il 55% delle Pmi e l’82% dei dipendenti pubblici. Quello che invece è mancato è il senso di coinvolgimento all’interno dell’impresa. L’engagement ha subito una drastica frenata arrivato a toccare dal 18% degli utenti in smartworking nel periodo precedente al 7%. Una diminuzione che ha riguardato anche chi non sta svolgendo funzioni da remoto, passando dall’8% al 6%.
Sul campo dell’efficienza e dell’efficacia si è invece visto un aumento significativo per quanto riguarda le grandi imprese, con dei dati che si aggirano sul 59% e il 58%. Buono anche nella PA, con dei numeri che vanno dal 30 % di efficienza al 27% di efficacia. L’unica nota negativa in questo caso arriva dalle piccole medie imprese. Alcune di esse (il 47%) non hanno nemmeno preso in considerazione l’idea di questo modello, ma tra chi ha scelto lo smart working il 53% alla fine ha deciso di abbandonarlo. Proprio per questo è utile trovare una soluzione che riduca i problemi relazionali emersi durante la pandemia, creando un lavoro che punti di più sulla flessibilità e la fiducia verso l’azienda.
«Per cogliere tutti i benefici dello smart working - afferma la direttrice della ricerca nella PA Alessandra Gangai - serve l’impegno di tutti i soggetti. Alle organizzazioni spetta il compito di strutturare progetti coraggiosi, lavorando su policy, tecnologie, spazi di lavoro e stili di leadership; i lavoratori devono allenare skill più adeguate al nuovo work-life balance e i policy maker devono accompagnare questa trasformazione con onestà intellettuale e lungimiranza».
Riccardo Lo Re