Su Nuraxi, storia di una tzitade millenaria
Ordo barbaricus. È la curiosa espressione con cui lo storico e critico d’architettura Bruno Zevi definì il villaggio nuragico di Su Nuraxi, nel territorio di Barumini. “Su Nuraxi” significa “Il Nuraghe” in sardo campidanese, e questi sono appunto edifici in pietra unici nel loro genere, sulla cui origine e funzione ancora si dibatte. Come del resto di quella dei 7mila esemplari sparsi nell’isola.
La leggenda del nuraghe
C’è una leggenda riguardo la costruzione del primo nuraghe, tramandataci dallo scrittore e geografo greco Pausania. A insegnare alla popolazione sarda la costruzione dei nuraghi sarebbe stato nientemeno che Dedalo, lo stesso architetto del famoso labirinto di Creta, la prigione del Minotauro. Fuggito dalle grinfie di Minosse, questi sarebbe giunto alle coste della Sardegna e lì, per ringraziare dell’ospitalità i pastori, avrebbe fatto loro dono dei nuraghi, così che potessero avere una casa e una fortezza per proteggersi dai nemici.
La storia
Sviluppatasi nel XIII secolo a.C. attorno a un nuraghe quadrilobato (questo risalente al XVI-XV secolo a.C.), Su Nuraxi costituisce uno dei villaggi nuragici più estesi di tutta la Sardegna, tanto da poter distinguere nella sua planimetria officine, centri di lavoro agricoli e cucine. Gli altri ambienti rinvenuti - abitazioni, punti di ritrovo e perfino luoghi di culto - lasciano ipotizzare che questa tzitade avesse sviluppato una qualche gerarchia sociale ben definita. Le testimonianze architettoniche lasciate nell’area, poi, non fanno che confermare come il suo territorio fosse un punto d’incontro di diverse culture, dalle civiltà puniche ai romani, che ne hanno influenzato di conseguenza le strutture e l’architettura. La zona è rimasta abitata fino al III secolo d.C., ed è stata abbandonata del tutto solo nel VII secolo, in periodo alto medievale.
La scoperta di Giovanni Lilliu
Il villaggio si è evoluto così in maniera rotonda e irregolare - come per “gemmazione” - attorno all’imponente nuraghe centrale. Giovanni Lilliu, professore e archeologo baruminese che per primo portò alla luce Su Nuraxi, ha confermato la tradizionale interpretazione di luogo-fortezza, una torre vedetta sul mare per sorvegliare e difendere i campi coltivati e le mandrie al pascolo da possibili attacchi nemici. Le pietre che compongono questi torrioni non possono più dirci niente, se non che qui, molto tempo fa, l’uomo ha vissuto, lasciandosi dietro un’importante traccia del suo passaggio, vecchia di migliaia di anni. Ma se le sue rocce potessero parlare, che cosa direbbero? Nella loro “dissonante rozzezza” tribale c’è più quanto sembri: una stratificazione culturale lunga più di 2000 anni! Un luogo unico per la sua storia, e per questo classificato dall’Unesco Patrimonio dell’umanità nel 1997.
Francesco di Nuzzo